Al confine tra la province di Catania e Siracusa, lontano dai rumori cittadini, i fenicotteri rosa fanno bella mostra di sé. A poca distanza si vedono anche falchi pescatori e anatre. Sono solo alcune delle specie di uccelli che in questi giorni si trovano nei pantani di Gelsari e Lentini. Nell’oasi naturale, che rientra tra i siti siciliani tutelati dall’Unione europea, regna la pace ma anche da queste parti ci si chiede per quanto ancora. La domanda, che stando a quanto appreso da MeridioNews ha preso la forma di esposti presentati alle procure dei due capoluoghi, è scaturita dalla pubblicazione di due progetti da parte del Consorzio di bonifica. L’ente che fa capo all’assessorato all’Agricoltura sui pantani opera con pompe idrovore, aspirando l’acqua e immettendola nel letto del torrente San Leonardo, da dove poi finisce in mare.
Stando ai piani del Consorzio, l’attività di bonifica – a novembre finita al centro dell’attenzione per un raddoppio delle pompe deciso senza valutazione dell’incidenza ambientale – dovrà essere ulteriormente potenziata e accompagnata da una pulizia dei canali di scolo in modo da velocizzare il deflusso dell’acqua. Nello specifico per Gelsari, è prevista l’installazione di una terza elettropompa, mentre per il pantano Lentini verranno sostituite le quattro pompe esistenti con altrettante più moderne e performanti. A ciò si aggiunge la promessa di ridurre i consumi elettrici.
I progetti, tuttavia, preoccupano quanti – tra loro anche le associazioni Legambiente e Ente Fauna Siciliana – mettono in discussione l’opportunità di intervenire periodicamente con il prelievo dell’acqua. I timori riguardano infatti il rischio di vedere compromessi definitivamente gli equilibri ecologici di un’area il cui habitat, facendo parte di una zona di protezione speciale, è protetto dalla normativa europea.
A differenza di quanto accaduto a novembre, stavolta il Consorzio di bonifica ha dato l’incarico di effettuare la valutazione d’incidenza ambientale. A occuparsi della Vinca di primo livello, tecnicamente definitiva screening, è stata l’architetta Giusi Stefania Arena. Secondo la quale, gli interventi non inciderebbero in maniera negativa nei due pantani. «Dallo studio effettuato – si legge nelle conclusioni delle due Vinca – emerge che il progetto risulta compatibile con il contesto territoriale, in quanto non indurrà modificazioni tali da interferire sensibilmente con la struttura, la dinamica e il funzionamento degli ecosistemi naturali e seminaturali, e anzi, per certi versi – è la tesi di Arena – ne aumenterà la biodiversità e la probabilità di frequentazione da parte della fauna e avifauna sia stanziale che migratoria».
Sulla scorta di queste valutazioni, il Consorzio di bonifica a fine febbraio ha comunicato l’avvio di una conferenza di servizi dando agli enti interessati – Comuni, ex Province, assessorato Ambiente, Geni civili e Soprintendenze – due settimane per produrre i parere di compatibilità, con il principio di silenzio assenso. Un’iniziativa a cui è seguita a stretto giro una diffida da parte di Legambiente. L’associazione presieduta in Sicilia da Gianfranco Zanna ha ravvisato una lunga serie di criticità, che vanno dall’insufficienza della Vinca di primo livello alla mancata attivazione della Via. Nel documento inviato anche al ministero per la Transizione ecologica e alle procure di Catania e Messina, viene anche contestata la tesi sostenuta dal Consorzio, secondo cui il drenaggio è necessario per tutelare chi coltiva le aree a ridosso die pantani. «Non ha in verità motivazione alcuna ai fini agricoli», si legge. Al contempo Legambiente ricorda come l’utilizzo delle pompe aumenti «enormemente i costi di gestione del Consorzio, che gravano sugli utenti e sul pubblico». La diffida poi mette in discussione la qualità delle due Vinca. «Si fa rilevare la irrituale perfetta coincidenza degli elaborati. Sebbene i due pantani facciano parte della stessa area e siano inclusi nella stessa zona di protezione speciale, le loro condizioni naturali non sono perfettamente coincidenti», afferma Legambiente.
A opporsi con decisione ai progetti è anche Roberto De Pietro, ingegnere tra i primi a chiedere a fine anni Duemila che i pantani venissero inseriti all’interno della rete Natura 2000. «Nelle relazioni di incidenza si sostiene che l’impatto sugli ambienti naturali sarebbe trascurabile, essendo circoscritto agli impianti idrovori e alla rete di collettori e canali – dichiara a MeridioNews De Pietro – Ma lo scopo, ben dichiarato, degli interventi, è di pervenire all’eliminazione totale e permanente dell’acqua. Dovrebbe essere l’oggetto stesso della relazione di incidenza, e invece non è stato valutato affatto. È fin troppo evidente che ciò porterebbe alla sparizione degli habitat, delle specie di interesse comunitario e della relativa biodiversità».
De Pietro si concentra poi sulle motivazioni che secondo il Consorzio giustificano i progetti: difendere le abitazioni e consentire l’agricoltura. «Non esistono abitazioni all’interno della Zps relativa ai pantani – replica a distanza De Pietro – Sul secondo punto, invece, va osservato che l’esercizio dell’agricoltura nel fondo dei pantani, cioè nelle aree che ricadono nella Zps, appare anacronistico alla luce delle acquisizioni scientifiche e culturali in merito all’importanza delle zone umide». Infine, quella che sembra più di una semplice provocazione: «Con i soldi spesi dal 2012 ad oggi per mantenere in piedi questo sistema – afferma De Pietro – la Regione avrebbe potuto acquistare i terreni, mettendo fine a ogni eventuale contezioso con i proprietari. Il sistema attuale, diversamente, sembra concepito per drenare soldi pubblici per indennizzi e sovvenzioni». Osservazioni condivise anche da Carmelo Ferlito, professore del dipartimento di Scienze ambientali all’Università di Catania: «Le istituzioni – afferma – dovrebbero percepire il dovere morale di tutelare questi luoghi, parliamo di aree speciali nel vero senso della parola. Perché si continua a volerle prosciugare? Temo – conclude – che alla base di tutto ci sia la sottovalutazione della loro importanza».
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