Un mondo che non vedi

A dodici metri e mezzo da te c’è un mondo che non vedi. Un tri-roti e un camper dentro un cortile; pezzi di pane duro, pere, un tovagliolo unto attorno ad una fetta di formaggio fra due piatti di plastica dentro un sacchetto di plastica stropicciato, appeso al camper; laghetti di acqua piovana nelle concavità di resti di elettrodomestici dentro il cassone del tri-roti; cuscini, ferri, rame, stoffe, molliche, pietruzze, plastica, bottiglie d’acqua e coca cola, una pianta al posto di guida e lui, camaleontico, si aggira lento, impedito nei movimenti ma calmo, saggio, passo dopo passo, solo, con pazienza…..dentro il camper.

A dodici metri e mezzo è lui che ha sistemato tutto: il cibo per gli animali nel sacchetto, la pianta di limoni, e i resti di elettrodomestici da smontare per accumulare rame, e magari venderlo.

 

Ma non è il solo a dodici metri e mezzo.

C’è anche uno che spesso arriva a quattro metri, butta la spazzatura, poi si ferma, guarda, forse dice anche qualcosa ad alta voce, ride e ritorna a dodici metri e mezzo da te. Va da un altro, seduto su una panchina, che a volte canta canzoni di qualche decennio fa, che per lui sono tutte di Claudio Villa ma le cantilena alla Modugno. Quando canta sta bene, non pensa ai dottori, alle medicazioni, alle sue gambe e all’insulina.

Con le mani nere di cenere di tabacco e i baffi bianchi, un altro accende la sua pipa artigianale; anche lui a volte canta ma lo fa a squarciagola e rigorosamente in siciliano.

 

Seduto su una sedia, uno, mentre tiene in mano un bastone e in mente l’ora,  parla di tempo, morte, giustizia o della seconda guerra mondiale con chiunque gli si fermi accanto, ma non risponde alle domande. Parlano i suoi pensieri, i ricordi; con lui ciò che vuoi sapere non lo saprai mai. E’ tutto casuale e solo col tempo riesci ad entrare nella casualità dei suoi pensieri e, almeno in parte, puoi indirizzare le sue logiche alle tue voglie di sapere com’era quella parte di storia dal suo punto di vista. La sua lingua, impregnata di una cultura del passato, è un dialetto ormai in disuso, all’inizio incomprensibile, ricco di immagini che non appartengono più al nostro mondo. Espressioni come “i ciavi ro ddammusu l’avi chidu ca cumanna, dda supra” che esprime l’impotenza dell’ uomo dinnanzi  a Dio e alla morte; oppure “u tiempu scurri e nui scurriemu ppe macci ‘i pigna”, i macci ‘i pigna rappresentano il cimitero, anche detto a casa ranni.  Invece sulla guerra parlerà delle divise militari (i rrobbi ro guviernu) che erano più resistenti e ti dirà che nto guviernu ha imparato che in italiano u putrisinu si dice prezzemolo e ok significa sta bene e che è stato a Torino e a Trieste ai confini cca Jugoslavia ca nun ‘n apparteni, è ‘n atru guviernu. E dopo aver raccontato di qualcuno che venne ucciso davanti ai suoi occhi ad un “Alto là chi va là”, dirà pure ,con un tono tipico ragusano ed un sorriso accennato,”Cco  bruoru n avieunu a fari vinciri a guerra, sti  figghi ‘i buttana!!”. Ed io sinceramente non mi ero mai chiesto cosa dessero da mangiare ai soldati ed ho scoperto che molto spesso mangiavano solo un brodino…come la doveva vincere ‘sta guerra con un brodino? e la vita da signorino? Da quando i ranni (genitori) e i frati (fratelli) lo hanno lasciato, è rimasto solo tra i vivi.   Senza gloria in guerra e senza prole in vita.

 

C’è anche chi ha voglia di uscire perché dice che a stare sempre lì dentro gli s’accupa u cori.  Vuole uscire per passeggiare, per scambiare qualche parola col tabaccaio, con lo scarpaio o l’artigiano e lo accompagni fra le viuzze di una Ibla secolare dove scopri genti, mestieri e abitudini che prima non vedevi.

 

E poi c’è chi a letto, fra vari deliri, dice di voler andare a casa e ripete – A ma casa era a ma casa , a ma casa strinci e vasa-.

E sì, purtroppo queste, e tante altre vite, giacciono lì, dove sono entrate perché scomode o non più autosufficienti ed assieme vivono la loro solitudine finché il peso degli ultimi anni non venga sepolto dentro una cassa di legno, entrata vuota subito dopo l’ultimo respiro col naso affilato e la fronte di ghiaccio.

 

Quando non ci si può più prender cura di un anziano basta mandarlo dove potrà probabilmente trovare assistenza, cura, attenzione ma non affetti, senso di appartenenza e familiarità. Sarà sicuramente un ottimo detergente lavamani per parenti esausti di vecchi infausti. Una casa di riposo o, meglio, di rimedio.

A dodici metri e mezzo ce n’ è una; l’ ho conosciuta prestando servizio civile nazionale proprio lì. Adesso, volontariamente, non presto più niente, quando ci vado regalo. Ma non è così facile, il tempo per noi passa più in fretta che per loro, e ne possiamo regalare meno di quanto loro possano aspettarsi…..comunque domani li vado a trovare.

 

Sergio Corallo

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