Un settore dal peso economico quantificabile in 64 miliardi di euro, con 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti e 270 mila lavoratori esterni. Sono questi i numeri del No profit in Italia, un settore che si sostiene per l’86 per cento tramite fondi privati. E dove la raccolta fondi, meglio nota con il nome inglese di Fundraising, rappresenta quindi la premessa indispendabile. Il tema sarà al centro di un convegno organizzato per venerdì 5 dicembre alle 15,30 all’hotel Nettuno di Catania: in quell’occasione la commissione No Profit dell’ordine dei dottori Commercialisti e degli esperti Contabili di Catania, presenterà il Manuale pratico del Fundraising.
A introdurre il volume sarà il dottor Luciano Zanin, presidente dell’Associazione Italiana dei Fundraiser. «Le nostre comunità detengono una quantità immensa di risorse – spiega Zanin nella prefazione al manuale -, non già solo di denaro, ma anche di tempo, di conoscenza, di relazioni, che solo il dono è in grado di attivare e di mettere a disposizione del bene comune. Questo è auspicabile che avvenga – prosegue Zanion – non solo per compensare la diminuzione di risorse pubbliche destinate ai diversi settori che interessano i cittadini (sanità, welfare, cultura, istruzione, sport, ecc.), ma anche per creare quel “capitale sociale” senza il quale una comunità non può definirsi tale. Il fundraiser si occupa sostanzialmente di questo: cercare, e trovare, il modo affinché queste risorse possano essere attivate».
I settori che utilizzano di più fonti di finanziamento pubblico sono Sanità (36,1 per cento), Assistenza sociale e protezione civile (32,8 per cento), Sviluppo economico e coesione sociale (29,9 per cento). Quelli più sostenuti da introiti privati sono Religione (95,5 per cento), Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (95,3 per cento), Cooperazione e solidarietà internazionale e Cultura sport e ricreazione (entrambe 90,1 per cento).
Secondo la commissione No Profit dell’ordine dei dottori Commercialisti ed esperti contabili di Catania, i dati sono ancor più significativi se accompagnati da una quantificazione del risparmio sociale derivante dalle ore di lavoro messe gratuitamente a disposizione dai quasi cinque milioni di volontari e, ancor più, dal benessere materiale e immateriale apportato a chi ha beneficiato delle loro prestazioni, del loro aiuto e della loro solidarietà. Per lungo tempo lo studio delle scienze sociali, in particolare dell’economia, ha fatto riferimento ad un concetto di benessere interamente identificabile con l’aumento della ricchezza individuale. Oggi, invece, è ampiamente riconosciuto che lo star bene delle persone è associato non soltanto al soddisfacimento dei bisogni materiali e immateriali, ma anche a quello dei bisogni relazionali e che tutto ciò concorre a rendere più competitivi i territori che promuovono questi concetti.
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