Ancora un suicidio in carcere, questa volta a Catania, al carcere di Piazza Lanza.
Solo ieri Antigone, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, ha denunciato tre suicidi in tre mesi. Oggi, dopo quest’ultimo, che segue quello avvenuto all’Ucciardone di Palermo in cui a togliersi la vita è stato un 30enne extracomunitario, sono diventati quattro, a fronte dei 18 di tutta l’Italia, quasi il 25 per cento a livello nazionale. «Non sappiamo niente sul suicidio avvenuto al carcere di Piazza Lanza – commenta a MeridioNews Pino Apprendi di Antigone – solitamente non c’è questa chiusura nella comunicazione perché le notizie filtrano, ma stavolta no». «Ci siamo rivolti al garante nazionale perché nel report non risultava neanche il suicidio di Palermo», sostiene Apprendi.
«Non è il momento di fare dietrologie perché non servono – sostiene Apprendi -, sarebbero necessarie solo le informazioni». Ma per il momento, come confermano anche fonti di polizia penitenziaria, sarebbero partite le indagini e sulla questione vige il massimo riserbo. Che la situazione delle carceri siciliane non sia delle migliori, tra droni di rifornimento, rivolte, atti di violenza e carenza di personale della polizia penitenziaria, è noto.
«Non è accettabile questo silenzio – incalza Apprendi – la situazione è precipitata, i nostri ripetuti appelli sono rimasti inascoltati, ma non ci stancheremo di segnalare tutte le carenze del servizio sanitario nei confronti della fragilità psicologica e psichiatrica». Basti pensare che la fascia d’età in cui si verificano più suicidi è quella tra i 35 e i 45 anni. «Sono quelli più fragili – commenta Apprendi – pensi a un bruco che vuole diventare farfalla, se non riesce, muore», è la metafora dell’ex deputato Ars.
«Se, per esempio, in carcere c’è un solo medico e nessun mediatore culturale – continua Apprendi – i detenuti che riscontrano qualche malessere, fisico o psichico, con chi dovrebbero confrontarsi?». Questi sarebbero alcuni dei motivi che si celano dietro ai tanti suicidi che, in Sicilia, dal 2000 al 2020, ammontano a circa 1240. «È come se fosse svanito un intero Comune», conclude Apprendi. Le tensioni e gli stati d’animo nel carcere sono stati certamente peggiorati dalla presenza della pandemia che ha contribuito a istillare ulteriori timori fra i detenuti, anche per i propri familiari con i quali non c’è stato più contatto di persona per lunghi periodi. Per l’associazione, dunque, andrebbero rivisitate le linee guida contro il suicidio nelle carceri e al contempo sarebbe necessario verificare ogni rapporto della sanità con le strutture carcerarie.
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