Anna, così la chiameremo, è un’operatrice scolastica. O almeno lo era fino all’anno scorso, quando aveva un contratto, poi non rinnovato. Mamma single, abbandonata dal marito, ha un figlio di 14 anni. Ma i soldi in casa non bastano, specie da quando non c’è più il lavoro, e Anna non riesce più a pagare l’affitto. Sfrattata dal padrone di casa, si rivolge alla Caritas che offre a lei e al ragazzo alloggio nei suoi dormitori. Ma separati, secondo il sesso. Per Anna, quella, non è una casa. Non un punto di ritrovo per ripartire insieme alla sua famiglia. Ed è dalla storia delle donne come Anna che ha deciso di partire la Ragna-Tela, la rete di associazioni e cittadini catanesi contro la violenza sulle donne, per proporre alla nuova amministrazione etnea e, prima ancora, alla città un progetto di social housing per le donne.
«Abbiamo deciso di andare oltre l’aspetto teorico della violenza di genere e occuparci concretamente dei problemi quotidiani delle donne – spiega Elena Majorana, anche membro dell’associazione Gapa – Un tema che ci è sembrato subito centrale è stato la casa: come centro della vita, possibile fonte di sicurezza ma spesso anche di violenza». Come riunire le donne sole, magari con figli, che hanno bisogno di ripartire da zero? La risposta, per la Ragna-tela, sta nel social housing, un sistema molto utilizzato all’estero, meno in Italia e qui ribattezzato un condominio sociale «da realizzare in uno dei tanti beni comunali oggi abbandonati oppure confiscati alla mafia e che vanno restituiti alla città». Come la Casa del Mutilato, in piazza teatro Massimo, scelta proprio come esempio dalla rete.
Beni da restituire in questo caso alle cittadine, per realizzare alloggi a prezzi popolari, anche transitori. «Non parliamo di un dormitorio con delle stanze, ma di mini-appartamenti, tutti in un unico stabile, in modo che ciascuna donna abbia un suo spazio e il suo tempo per ritrovare la propria dignità e sicurezza e ripartire», spiegano dall’associazione. Che sta ancora mettendo a punto il progetto, ispirandosi ad esperienze internazionali, ma senza dimenticare la sostenibilità economica. «Noi non vogliamo assistenzialismo – spiegano – Gli spazi comuni di questo condominio sociale potrebbero essere sfruttati, come già si fa altrove, per avviare attività che portano anche lavoro. Pensiamo a un ristorante o a un asilo nido, aperti al pubblico ma gestiti dalle inquiline».
Trovate le soluzioni tecniche, a mancare sarebbero solo gli spazi. «Negli Stati Uniti persino i privati mettono a disposizione i propri immobili, magari mal messi e da ristrutturare, per operazioni simili. In cambio di sgravi fiscali – spiegano dalla Ragna-Tela – Qui il contesto non ci sembra ancora maturo, per questo ci rivolgiamo all’amministrazione comunale». «Prima di svendere il patrimonio cittadino, pensateci», lancia un appello Elena Majorana. Ma l’idea è anche quella di coinvolgere i sindacati nelle eventuali trattative e i privati cittadini in una raccolta fondi. «Ma che non sia caritatevole: le protagoniste restano le donne e la loro ricerca di un nucleo per ripartire».
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