Un chiosco di Gravina base dello spaccio di droga Tra pusher pagati a cottimo e consegne a domicilio

Smerciavano cocaina e marijuana senza una piazza fissa e tramite una rete di spacciatori che lavoravano a cottimo. Per un business da 30mila euro al mese. È questo il quadro che emerge dall’indagine – soprannominata Baly – dei carabinieri del nucleo provinciale di Catania e dei colleghi di Gravina. Che all’alba hanno eseguito 15 provvedimenti di custodia cautelare dei 16 emessi – una persona è ricercata all’estero – per associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di droga. Stupefacenti acquistati in Olanda e a Librino, e rivendute a Gravina di CataniaMascalucia e nei territori limitrofi. Attività criminali coordinate dal penitenziario di Padova da Mario Pace, esponente del clan catanese Pillera-Cappello all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio. Il primo lo ha commesso nel 1976, durante la prima guerra di mafia tra la sua famiglia d’appartenenza e la rivale dei Laudani. Ma «l’organizzazione sgominata era dissociata da Cosa nostra», precisa il comandante Francesco Gargaro.  

«Gli spacciatori non avevano un punto fisso per la rivendita della droga ma si spostavano in continuazione. In un breve periodo hanno fatto base nel chiosco Baly di Gravina, da cui prende nome l’operazione», afferma Gargaro. «In alcuni casi consegnavano le dosi a domicilio, in altri sotto i tavoli di attività commerciali oppure le passavano agli acquirenti direttamente dallo scooter», aggiunge. «L’indagine ha permesso di individuare molte novità rispetto alla consuete caratteristiche che ha lo spaccio a Catania come siamo stati abituati a conoscerlo», interviene il tenente Salvatore Mancuso. L’indagine – condotta dal 2011 al 2013, tramite una serie di intercettazioni – avrebbe permesso di delineare le caratteristiche del gruppo, distinguendo tra l’organizzatore, i promotori e i sodali. Anche grazie a circa 60 perquisizioni effettuate grazie a un centinaio di carabinieri impiegati.

Una gerarchia al vertice della quale figurava l’ergastolano Mario Pace che nel penitenziario dove si trova rinchiuso aveva stretto i rapporti con un altro detenuto. Quest’ultimo, poi scarcerato, è latitante dal 2013 ed è stato colpito dal provvedimento di custodia cautelare di cui oggi si discute. Pace, inoltre, tramite una serie di pizzini (mai rinvenuti) consegnati alla sorella Rosa (anche lei fermata, ndr) comunicava con un’altra persona che a Catania si sarebbe occupata di promuovere l’attività illecita. «In cella hanno sequestrato pure un computer portatile tramite il quale Pace comunicava con l’esterno, cosa che è oggetto di un’altra indagine. Lui era chiaramente l’organizzatore, mentre i promotori sarebbero stati Roberto Vitale e Roberto Cosentino, quest’ultimo molto vicino Rosa Pace», precisa il capitano Martino Della Corte. Che sottolinea: «Il resto erano sodali che guadagnavano in base a quanto vendevano, a percentuale». Mentre l’intera organizzazione «per aumentare gli introiti aveva già effettuato una serie di sopralluoghi, allo scopo di mettere a segno delle rapine. Soldi che sarebbero serviti a comprare partite di droga più grosse». Tra gli obiettivi – mai centrati – c’erano «portavalori e farmacie di Catania», specifica il militare dell’Arma. 

Cassandra Di Giacomo

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