«Essere tutrice non è semplice: non sei madre ma hai più responsabilità, perché hai la vita e il futuro di alcuni minori nelle tue mani e devi sempre pensare a fare il loro bene. Anche se questo a volte vuol dire fare o accettare scelte dolorose o che portano a un distacco». Manuela Casamento è una sorta di madre in prestito per tutti quei ragazzini che arrivano qui senza nessuno. Per ora i suoi «picciriddi», come ama simpaticamente chiamarli, sono Karamoko, Abdoul e Kemo. Due sedicenni che seguirà per altri due anni e un diciassettenne che a giugno compirà 18 anni, l’età fatidica. Fatidica perché un tutore si prende cura del ragazzo che gli è stato affidato fino a che non raggiunge la maggiore età. E dopo che succede? Ognuno per la sua strada? Non proprio. Non per Manuela, almeno.
«Io resto la loro tutrice per sempre – racconta infatti -. Quel rapporto che si crea nel giro dei mesi o degli anni forse finisce solo “ufficialmente”, legalmente. Ma in realtà continua anche dopo quei 18 anni compiuti. Ma dipende dal modo che ognuno ha di approcciarsi e di costruire un legame con questi ragazzi, ognuno ha il proprio modo, il proprio metodo». Il suo è quello di essere davvero una mamma per loro. Anzi, una supermamma. Ma che significa essere una tutrice? «È un ruolo che comporta una grandissima responsabilità, è più dell’essere solo un genitore. Perché ti ritrovi a dover scoprire la maniera migliore e più adatta, diversa per ciascuno, di costruire da zero un rapporto con chi ha già sedici o diciassette anni, o anche meno. E avviene tutto così, da un momento all’altro, appena ti arriva la nomina. E hai letteralmente nelle mani la vita di questi ragazzi che non conoscono te né tutto quello che hanno intorno, è tutto nuovo per loro».
L’obiettivo è principalmente uno: il loro bene. Ma come ci si prende cura di chi si deve imparare a conoscere da zero? «Io parlo molto con loro, parliamo continuamente – spiega Manuela -. Nel mio metodo non esiste dire “io sono la tutrice e decido io”. Non faccio nulla senza parlarne prima coi ragazzi che seguo, il mio compito non è di decidere tutto io e di decidere per loro, ma di decidere con loro, che è diverso. E se loro non vogliono seguire questa strada, allora ne proviamo altre. Ma non c’è mai una mia imposizione sulle loro vite». Un metodo, il suo, che le sta dando ragione a giudicare dai legami fortissimi che è riuscita a intrecciare con tutti i ragazzi di cui si è presa cura fino ad oggi. «Uno dei primissimi che ho seguito adesso vive a Roma, ma nonostante la distanza continua a chiamarmi – racconta -. E molti altri, anche chi è rimasto a Palermo, mi cercano ancora, ci sentiamo spesso al telefono, sanno che possono contare su di me per ogni bisogno, non è un rapporto che si esaurisce insomma con quei 18 anni, non può esserlo».
L’avventura di Manuela come tutrice comincia partecipando a un corso di formazione promosso dal garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dopo aver vinto un bando. Una scelta, quella di prendersi cura di un’altra vita, che lei sente di raccomandare. Ma non è certo per tutti. «Se fatta seriamente, è un’esperienza da provare». Ma appunto i requisiti base devono essere serietà e passione. «Io sono una tutrice volontaria – spiega -. Significa che non mi paga nessuno per fare quello che faccio, legalizza questo mio ruolo la legge Zampa. E c’è chiaramente una ratio dietro: esistono tutori e tutrici che non hanno un grande senso di responsabilità, che non sono in contatto assiduo coi ragazzi che dovrebbero tutelare, che fanno saltare le commissioni. Mi fa pensare che se fossimo stati retribuiti, ci sarebbe potuto anche essere qualcuno interessato solo a prendersi più minori possibili solo per intascarsi contributi e rimborsi spese fregandosene del ragazzo». Un rischio che si riduce notevolmente se, appunto, questo ruolo rimane volontario.
«Mi occupo di loro in prima persona: dalle visite mediche alla scuola, io sono lì in ogni momento. La mia presenza è costante e assidua, non c’è un attimo in cui non gli rompo le scatole, messaggi e telefonate davvero non si contano – scherza -. A volte mi chiedo se li vedrò arrivare ai 18 anni, per quanto tempo ancora saremo assieme e cerco di prepararmi a tutto… Non sono perfetta e faccio tanti sbagli, penso che il quello di questi ragazzi sia un viaggio senza mai fine, ma spero di dare loro almeno, per quanto mi è possibile, l’amore e il bene che meritano e di fare assieme a loro le scelte giuste per la loro vita».
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