«L’area costiera di Malindi andrebbe ricognita, poichè potrebbe celare la presenza di galeoni portoghesi di cui si ha notizia che affondarono presso la costa antistante la città». A marzo del 2016 Sebastiano Tusa era stato per la prima volta in Kenya per dare una mano a quel Paese nel settore in cui lui era uno dei massimi esperti al mondo: l’archeologia subacquea. Quando il ministero della Cultura kenyota e il National Museum di Nairobi avevano chiesto aiuto all’Istituto italiano di cultura, la scelta era ricaduta proprio su di lui, che sul suo blog aveva raccontato quei giorni: i viaggi, gli incontri, i consigli, l’impegno per una collaborazione nel settore della ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale sommerso kenyota. Una storia che negli ultimi tre anni è andata avanti. Tusa oggi avrebbe dovuto raggiungere Nairobi per un intervento nell’ambito di un evento Unesco a Malindi, dove è in programma l’apertura di un centro di interesse storico e di recupero delle tradizioni e della cultura di tutto il Kenya.
«Un uomo di profonda cultura che aveva fatto della sua domenica di riposo una qualsiasi altra giornata di lavoro», ha ricordato il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè. Prima da Soprintendente del Mare, poi da assessore ai Beni culturali, cercava di contagiare la sua passione anche ai colleghi. «Le rispondo mentre sono a lavoro di domenica per lavorare a un progetto che lui mi aveva chiesto di portare avanti perché ci teneva molto – risponde al telefono Enrico Caruso, direttore del parco archeologico di Selinunte – l’illuminazione notturna dei templi». Tusa era molto legato a Selinunte. Suo padre Vincenzo, archeologo di fama internazionale, è stato il primo promotore del parco e coordinò scavi in tutta la provincia di Trapani. «A casa Tusa si respirava un’aria unica – spiega Caruso che ha frequentato per decenni l’abitazione palermitana della famiglia di archeologi – basti pensare che Vincenzo Tusa (il padre, anche lui archeologo, fondatore del parco di Selinunte, ndr), accanto all’appartamento dove viveva, ne aveva un altro, delle stesse dimensioni dedicato solo a bilbioteca. Ecco, Sebastiano e sua sorella sono cresciuti lì. In una casa dove passavano i più grandi studiosi di storia, archeologica, storia delle religioni».
Da studioso prima, da amministratore poi, Tusa c’era dovunque il mare potesse restituire pezzi del nostro passato: ha curato scavi in moltissime aree del mondo, da Pantelleria all’Iraq passando per il Pakistan. Recentemente ha curato il recupero dei reperti della prima guerra punica dai fondali di Levanzo. «Un grande archeologo dotato di visione e di coraggio, un infaticabile costruttore di progetti culturali, fin da giovanissimo. Per la Sicilia è una tragedia immensa, e una grave perdita per la cultura italiana», ricorda Caterina Greco, dirigente ai Beni culturali della Regione che ha condiviso con Tusa 40 anni di carriera. Una delle sue ultime visioni fatte realtà sono stati i parchi archeologici subacquei: sette itinerari in fondo al mare – da Taormina a Ustica, da Marzamemi a Marettimo – dove, con un particolare visore, il sub può conoscere la storia dei reperti che si trova davanti.
Uno studioso che sapeva guardare ai problemi a 360 gradi. Lo dimostra il suo impegno a difesa del mare anche dal punto di vista ambientale. Tusa è stato infatti in prima linea nella battaglia contro gli eccessi dell’eolico in provincia di Trapani, così come a Gela, dove ha fatto parte del comitato No Peos che ha vinto la battaglia contro la realizzazione di un parco eolico a mare. «Lui aveva un sogno – ricorda Emilio Giudice, direttore del parco del Biviere e ambientalista gelese – tutelare il golfo di Gela come sito Unesco, perché riteneva quell’area importantissima dal punto di vista archeologico. Era convinto che sotto la sabbia che ci ha già restituito diverse navi greche, potessero nascondersi anche resti della preistoria, del periodo in cui il livello del mare si abbassò».
Un visionario e un appassionato che l’avventura politica – chiamato da Nello Musumeci dopo le dimissioni di Vittorio Sgarbi – non aveva cambiato. «In pochi casi – ha ricordato lo stesso Sgarbi – l’archeologo, lo scienziato si era fatto politico con tanta naturalezza, continuando a vedere le cose, la storia e il mondo senza calcoli e strategia, per amore della bellezza, per la certezza che il mondo antico in Sicilia era ancora vivo». «Non aveva la spocchia dell’assessore – aggiunge il direttore del parco di Selinunte, Caruso – aveva mantenuto il suo più grande pregio, che poteva anche diventare il suo più grande difetto: la disponibilità verso gli altri e la grande umanità, la sua porta era sempre aperta». Verso l’Africa e il Kenya la sua ultima mano tesa.
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