Otto e dieci di una comune mattina di novembre: davanti alla scuola elementare Biscari la prima campanella sorprende due bambini concentrati su un videogame. Non c’è più tempo per continuare la sfida: una giovane donna cinese si alza dalla panchina vicina e prende per mano uno dei due bambini; contemporaneamente un uomo di mezza età afferra la mano dell’altro. Lo sguardo dei due genitori si incontra in un saluto cortese, l’uomo accenna qualche parola, la donna si sforza di capire e rispondere: giusto il tempo di salire i pochi scalini dell’ingresso e affidare i figli ad un simpatico signore coi baffi, indaffarato nell’ingrato compito di smaltire l’ingorgo dei genitori davanti all’entrata della scuola. “Lassatili iri i genitori, c’anna travagghiari. Ccà non n’aggiuvunu”. La giovane donna si allontana sorridendo, perplessa ma soddisfatta.
Tra le otto e le otto e mezza è un continuo via vai di bambini e genitori, nella piazzetta antistante la scuola. È un variegato mosaico di nazionalità: insieme agli italiani qui frequentano bambini cinesi, dello Sri Lanka, delle Isole Mauritius, della Tunisia e del Marocco. Ci sono anche un russo e una olandese. La posizione della scuola, vicina al quartiere di Catania a più alta densità cinese, ha agevolato la presenza multiculturale.
Prima di andare a lavoro, qualche genitore si ferma fuori a chiacchierare. Incontriamo un gruppetto di quattro mamme. Ci raccontano di essersi conosciute grazie ai figli che frequentano la stessa classe: “Noi abitiamo tutte qui vicino. Siamo contente che i nostri figli frequentino classi miste, la diversità è una ricchezza. I bambini non l’hanno mai percepita come un ostacolo, anzi, ne sono attratti, incuriositi. Fa quasi trendy”, ci spiega una mamma italiana. “Anche alle feste di compleanno non è mai capitato che qualcuno non venisse invitato perché non italiano. Siamo noi mamme per prime a trovarci bene insieme. Forse solo quelle dei bambini cinesi sono un po’ più diffidenti e riservate” ribadisce una mamma di origine mauriziana. La conferma arriva poco dopo: proviamo a fermarne una, ma se ne va svelta scusandosi perché non capisce quello che le chiediamo.
È vero: la comunità cinese è la più rappresentata e probabilmente la più difficile da comprendere. Nelle vie intorno hanno aperto numerose attività commerciali, abitano uno vicino all’altro. Molti non mettono radici stabili, ma nel corso dell’anno vanno e vengono più volte dalla Cina. A risentirne è anche il percorso di formazione dei bambini. “Arrivano e ripartono con tempi loro. Spesso si iscrivono ad anno in corso e siamo costretti a fare i salti mortali per portarli allo stesso livello dei loro compagni di classe. Non per questo abbiamo mai pensato di creare classi parallele, anzi, cerchiamo di rispettare l’età dei bambini. È giusto che crescano insieme ai loro coetanei. Magari un bambino di quarta elementare che deve recuperare dal punto di vista linguistico, userà un libro di testo normalmente usato in seconda per un po’ di tempo, oltre che, naturalmente, ricevere particolari attenzioni da noi”, ci spiega la maestra d’italiano Francesca Stella.
La volontà di imparare, perfezionare e confrontarsi sicuramente non manca. Entriamo in una classe materna proprio nel momento della ricreazione: al primo banco un piccolissimo con gli occhi a mandorla osserva la sua kinder brioss sul banchetto, si guarda intorno e improvvisa un rapido segno della croce. Una, due, tre volte fino a che il gesto assomigli abbastanza a quello della sua compagna di banco. Le maestre dividono le castagne: oggi è San Martino per tutti. Qui sono sette su ventiquattro i bambini stranieri. Nelle altre classi la media dei ragazzi stranieri è comunque di quattro/cinque, per un totale di settantadue su trecentonovantasei nell’intero istituto.
Sono tutti indaffarati nei preparativi per la giornata di domani, quando, appena fuori dalla scuola, verrà intitolata la piazzetta a uno dei militari italiani caduti a Nassiryia. I bambini provano l’inno nazionale. Fuori, un bidello armato di pennello cerca di ripulire i muri da numerose scritte. Quali erano queste parole tanto scandalose? Non lo sappiamo: le scritte erano in arabo. Tu chiamala, se vuoi, integrazione.
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