Troina, la vera antimafia siciliana riparte da cento asinelli Sindaco sotto scorta: «Lavoro e turismo al posto dei clan»

«Ho portato il bastone, quello per andare a funghi». Otto e mezza del mattino. Il sindaco di Troina Fabio Venezia esce dal portone di casa strappando una risata generale al drappello di persone che lo aspetta: ci sono i tre angeli custodi che da quattro anni, da quando la mafia dei Nebrodi lo ha messo sotto tiro, lo proteggono; c’è il suo braccio destro, Angelo Impellizzeri, responsabile dell’azienda Silvo pastorale di Troina, l’ente comunale proprietario di quattromila ettari di boschi; ci sono due guardie dell’azienda e il direttore, insieme a un veterinario dell’Asp. Più di dieci non si può: per raggiungere il querceto dove vivranno cento asinelli bisogna andare in jeep, superando strade dissestate oltre il lago Ancipa, in un territorio a cavallo tra le province di Messina ed Enna dove per decenni, nel silenzio e nel’indifferenza generale, Cosa Nostra ha creato un business da centinaia di milioni di euro: bastava prendere in affitto, a 10 o al massimo 15 euro a ettaro, i terreni dagli enti pubblici e ottenere fino a 350 euro di finanziamenti europei. Lasciando tutto immobile, inalterato, arcaico, violento.

Oggi non è più così. L’antimafia vera in Sicilia riparte da un bosco meraviglioso e incontaminato nel cuore dei Nebrodi. Terre che il sindaco Venezia ha prima strappato alle aziende dei clan colpite da interdittiva, e poi ha cercato di assegnare, tramite bando pubblico, ad altri: giovani, cooperative, gente onesta. Qualcuno ci ha provato, altri hanno detto no. Per paura. E allora la sfida si è fatta più grande: «Facciamo che diventiamo noi imprenditori agricoli, la più grande azienda pubblica d’Italia». 

Un sogno che si sta facendo realtà, passo dopo passo. Venerdì e sabato sono arrivati i cento asini comprati, grazie a fondi comunali e una raccolta di crowdfunding che ha raggiunto circa 15mila euro, da un’associazione di Chiaramonte Gulfi impegnata nella pet therapy. Qualche giorno prima erano arrivati anche i 18 cavalli sanfratellani donati dalla Regione. Che ha pure accordato un finanziamento di 2,5 milioni di euro per la ristrutturazione della caserma Sambuchello, destinata a diventare geo resort. «Tutti i muretti a secco verranno ripristinati, qui – spiega Venezia vedendo il futuro in un ammasso di rovine – ci sarà il polo della ristorazione con le eccellenze enogastronomiche dei Nebrodi. Qui verranno le camere, 24 posti letto, lì la cucina e i laboratori… tutto in basolato». 

«Con gli asini – aggiunge Impellizzeri – faremo partire la produzione di latte, la possibilità di fare escursioni e pet therapy, l’asino deve diventare il compagno di viaggio per ridare dignità a questo territorio». L’obiettivo è creare 50 posti di lavoro, anche grazie alla lavorazione del legno. Venezia e compagni sono un vulcano di idee. «Quando tutto questo sarà a regime – continua il sindaco – potrebbe nascere la terza stazione sciistica della Sicilia con le piste per il fondo e il lago Ancipa d’estate diventare centro per gli sport acquatici». L’entusiasmo spegne la paura, nonostante le famiglie mafiose del territorio continuino a far sentire la loro presenza, piegate ma non sconfitte da interdittive e indagini. A novembre nei boschi dove oggi scorazzano gli asini ragusani, sono state trovate delle mandrie riconducibili ad alcune famiglie a cui quelle terre erano state sottratte. Un messaggio chiaro: anche se ci hanno tolto i boschi, noi continuiamo a controllarli.

«Le difficoltà ci sono state e ci saranno – ammette Impellizzeri – ma non arretreremo di un passo. Abbiamo intrapreso la strada per diventare artefici dello sviluppo del nostro territorio e nessuno ci fermerà». Il sindaco con la tessera del Pd ma lontano dai salotti di partito, sa che la sua esperienza può rappresentare un passo importante nella ricostruzione del movimento antimafia siciliano, falcidiato da scandali, personaggi in cerca d’autore e indagini. «Servono azioni concrete, sobrietà e concretezza piuttosto che prediche, servono messaggi nuovi. Noi ci stiamo provando», spiega Venezia che non vuole parlare del rischio di un passato che, prima o poi, possa riprendere il sopravvento. «La nostra è una rivoluzione culturale, lavoriamo per arrivare al punto di non ritorno: dove c’è la presenza dei giovani, di sviluppo e occupazione, non ci può essere spazio per le intimidazioni e per la mafia».  

Salvo Catalano

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