Tripudio per Alberto Angela, laureato honoris causa Ma per Unipa si trasforma in un’occasione perduta

Erano centinaia gli studenti assiepati, alcuni da ore, davanti ai cancelli dello Steri per la cerimonia di consegna della laurea honoris causa in Comunicazione del patrimonio culturale ad Alberto Angela, principe della divulgazione storica e scientifica. E in una sala delle Capriate gremita il paleontologo, naturalista e scrittore, oltre che volto noto della televisione, ha tenuto una lectio magistralis sontuosa sull’importanza della comunicazione e della divulgazione scientifica, su come si sia evoluta e sul suo linguaggio, che deve essere semplice, veloce, immediato: «Cerchiamo di parlare – dice – come se fossimo a tavola con degli amici. Abbiamo scelto questa soluzione, ma i contenuti sono accademici, dettagliati e per questo potenti». Questa è la formula vincente che ha portato le sue trasmissioni ad essere un caso più unico che raro, non solo in Italia, con un programma di carattere divulgativo trasmesso in prima serata dalla rete ammiraglia del servizio pubblico nazionale, che miete ascolti come in nessun’altra parte del mondo accade. 

Angela racconta della propria esperienza, di quella voglia, parole sue, di «creare quel ponte, fare da passatori di acqua tra il mondo della ricerca e le persone» perché «è la gente comune che alimenta la ricerca, sotto forma di tasse, che poi finiscono a finanziare la ricerca stessa, è una squadra che gioca. Perché allora non passare il pallone dall’altra parte?». E parla della potenza e dell’efficacia del racconto: «L’uomo basa molto del suo successo sul pianeta sul racconto», spiega. «Ci sono programmi che usano dei canali più diretti per catturare l’attenzione del pubblico, tu invece parli del rinascimento, dell’evoluzione dell’uomo, dei vaccini, della ricerca spaziale. Non sono temi che ti garantiscono subito un ascolto e quindi una sopravvivenza, ma tu sai che non è la tua sopravvivenza che vuoi, è la sopravvivenza della cultura, del tema che stai percorrendo. Quindi sei obbligato a vincere, non per te, ma per chi è in laboratorio e per chi vuole leggere libri sui temi che stai raccontando. Le tecniche le affini strada facendo. Vi posso dire che quando scegliamo dei temi non lo facciamo perché ci garantiscono l’ascolto, ma perché ci piacciono e sappiamo che entusiasmeranno anche chi ci ascolta e quindi ci lanciamo in missioni veramente impossibili».

Un grande evento per l’Università di Palermo, che non lesina onori nei confronti del suo neolaureato, ma si dimentica di alcuni dei protagonisti più importanti: gli studenti. I posti, già esigui, in sala delle Capriate, sono infatti quasi tutti riservati a personalità, autorità o semplici ospiti del rettore o di altri accademici. E alcuni di questi marcheranno anche visita, lasciando il proprio sedile vuoto. Solo pochi dei ragazzi, che pure avevano ricevuto via mail un invito formale da parte dell’ateneo, sono stati fatti entrare. E alcune decine di loro, fatte salire in un secondo momento, sono dovute rimanere assiepate sull’ingresso della sala, costrette persino a resistere sotto la pioggia. «Siamo stati tutto il tempo fuori al cancello – racconta una ragazza che frequenta Scienze biologiche – poi ci hanno permesso di salire e stare davanti alla porta della sala. Eravamo tutti ammassati, nelle scale una ragazza si è anche sentita male, l’hanno fatta distendere. Poi si è messo a piovere, noi sempre fuori dalla sala. Ci hanno chiuso le porte a vetro e abbiamo aperto gli ombrelli. È stato tragico. Io volevo semplicemente assistere alla conferenza, non mi aspettavo ci fosse tutta questa gente. Avrebbero potuto organizzarlo in un luogo più ampio, con più posti, altrimenti perché inviare la mail a migliaia di studenti per poi lasciarli fuori?».

«Sono in un momento di stallo nella mia carriera universitaria – spiega un altro giovane rimasto fuori – speravo che le parole di un grande come Alberto Angela potessero darmi qualche stimolo per andare avanti. Invece sembra che l’Università stia facendo di tutto per farmi passare qualsiasi voglia di continuare a studiare». Per la fortuna degli studenti, tuttavia, ci ha pensato lo stesso Angela a dare loro una piccola soddisfazione, come racconta Emilio, studente di Comunicazione e nuovo collega del divulgatore: «Dopo la lezione insieme a un gruppo di colleghi da viale delle Scienze siamo andati a piedi fino a piazza Marina. Siamo arrivati verso le 10. C’era già molta confusione, tutti studenti, alcuni erano lì dalle otto del mattino. Siamo rimasti per un bel po’ nella speranza di entrare, poi si è sparsa la voce di una lista già completa – fatta dagli stessi studenti, pare ndr – Allora qualcuno ha iniziato a gridare “vergogna”, “che schifo”. Nell’invito c’era scritto ingresso libero fino a esaurimento posti, non era citata nessuna lista. Poi alle undici e venti circa è uscito Alberto Angela da dietro il cancello e abbiamo dimenticato in due secondi l’affronto. Quelli più vicini si sono fatti autografare qualcosa, hanno fatto le foto da dietro le sbarre perché il cancello è sempre rimasto chiuso». Un peccato di vanità? Forse. Tanto che anche il rettore Fabrizio Micari, durante la consegna della pergamena ha detto: «Avremmo potuto celebrare quest’evento in una sede più capiente, saremmo anche riusciti a riempirla, ma ci tenevamo a farlo qui, in questo luogo che ha settecento anni».

Il resto, anche dopo la fine dell’evento, è stato fatto delle solite porte chiuse e di una sfilza di «qui non potete entrare» davanti alle stanze in cui Angela era stato fatto accomodare in compagnia di accademici e delle solite autorità. Fortuna che proprio Alberto Angela, almeno lui, si è ricordato dell’importanza dei giovani, degli studenti. Ed è a loro che ha dedicato la parte conclusiva del suo discorso: «Quello che ci ha fatto tanto, tanto piacere – dice – è scoprire quanti giovani tornino a guardare la televisione grazie a degli argomenti scientifici e culturali. Anche qui ne abbiamo avuto un esempio, in sala, ma anche qui fuori. E mi dispiace, li saluto, per tutti i ragazzi che sono rimasti fuori. Devo dire che questa è la più bella speranza. L’ultimo libro che ho scritto l’ho dedicato ai ragazzi, perché sono fermamente convinto che l’antico fuoco che noi respiriamo possa essere tramandato solo grazie a delle menti che abbiano voglia di scoprire e che siano giovani. E io ne vedo tanti e ho tanta fiducia in voi».

Maria Vera Genchi

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