Alessandro Pluchino e Andrea Rapisarda, fisici, e Cesare Garofalo, sociologo, sono da qualche giorno gli scienziati più famosi d’Italia. Della loro ricerca sul “Principio di Peter rivisto” parlano tutti i giornali. I tre hanno creato una simulazione che ha consentito di calcolare che, in un sistema gerarchico, il metodo migliore di promozione è quello “random”. Promuovere “a caso”. Un risultato talmente insolito che li ha portati a vincere il premio ”Ig Nobel”. Giunto alla ventesima edizione, questo premio “alle ricerche improbabili” è una parodia del vero premio Nobel. Sono i quarti vincitori italiani nella storia del premio, ma sono i primi meridionali. Pur di dargli il premio, la giuria che si riunisce nella prestigiosa università di Harvard ha inventato una categoria apposita: quella del Management.
Parodia o vero riconoscimento scientifico? Raggiunti tra un’intervista e l’altra nello studio del professor Pluchino al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania, non hanno dubbi, si tratta di «un premio molto ambito nella comunità scientifica».
Che significato ha vincere l’Ig Nobel?
Pluchino – «Un grande riconoscimento. Basti pensare che ci sono più di 10000 candidature e vengono premiate solo 10 ricerche per 10 categorie. E per la nostra ricerca, che non si incasellava in nessun ambito disciplinare, è stata creata la categoria “Management”. Negli USA la vittoria dell’Ig Nobel ha quasi lo stesso peso dei veri Nobel, tanto che siamo stati “obbligati” a non rivelare per mesi la nostra vincita in attesa del giorno della premiazione».
Garofalo – «L’Ig Nobel è un premio tipico della cultura americana, un premio che “vuole portare la Scienza a tutti”, per questo cerca di essere divertente e autoironico, dissacrante dell’autorità e della Scienza. Rendendola più simpatica».
Rapisarda – «Quello che conta è soprattutto l’impatto mediatico, perché solitamente le scoperte scientifiche non arrivano al grande pubblico. E qui oltre all’attenzione dei media, la premiazione è seguita in diretta in streaming in tutta l’America e in generale in tutto il mondo anglosassone. Poi l’importanza scientifica del premio è sottolineata da una coincidenza eccezionale: Andre Geim ha vinto il premio Nobel per la Fisica 2010 proprio oggi (5 ottobre), dopo aver ricevuto l’Ig Nobel qualche anno fa…».
Chi vi ha candidati?
Pluchino – «Non sappiamo chi ci abbia segnalato. Probabilmente uno o più “lettori” dato che il nostro lavoro ha avuto una grande visibilità grazie ai media americani, tra i quali il New York Times che nel dicembre 2009 l’ha eletta “una delle ricerche più interessanti dell’anno”».
Rapisarda – «Il lavoro infatti era conosciuto da ben prima della pubblicazione ufficiale, avvenuta a febbraio 2010. Come prassi le ricerche in attesa di pubblicazione vengono inserite in un archivio pubblico. Da qui è stato subito notato da grosse riviste, compreso appunto il NYT».
La vostra ricerca, applicata alle aziende, dice che la “meritocrazia” non esiste ?
Pluchino – «Vogliamo innanzitutto mettere in guardia da una certa meritocrazia che noi chiamiamo “ingenua” o “del senso comune” che è quella di “promuovere il migliore” dal livello sottostante. Peter, psicologo, rivelò che questo modo di procedere ha degli inconvenienti. Fece delle ricerche sul campo, rilevando più di seicento “casi”. Scoprì che promuovendo il migliore da una posizione nella quale faceva un ottimo lavoro, cambiando tipo di mansione a livello gerarchico più alto, non è detto che continuasse a fare un ottimo lavoro. Il senso comune ci dice “se uno è bravo, continuerà ad esserlo” che è il motivo per cui lo promuovo. In realtà si toglie una persona da un livello in cui uno è il migliore in modo “provato” e lo si mette in una mansione in cui non è detto che sia il migliore».
Rapisarda – «Non siamo contro la meritocrazia, anzi noi siamo per un miglioramento della meritocrazia! Il punto è che, secondo il principio enunciato da Peter, la strategia apparentemente meritocratica di promuovere i migliori innesca un meccanismo paradossale secondo il quale le promozioni finiranno nel momento in cui gli individui in questione non dimostreranno più di essere i migliori, quindi resteranno nel posto in cui hanno raggiunto la loro massima incompetenza…».
Come avete svolto la vostra ricerca?
Pluchino – «Abbiamo simulato questo modo di procedere con un “agent-based model”, nel quale si simulano i singoli membri di una organizzazione che hanno le loro caratteristiche di competenza, responsabilità, età. La verifica matematica ha dimostrato che il principio di Peter è reale, e che quindi data la non correlazione tra le competenze richieste da un livello gerarchico rispetto a quello superiore, la strategia della promozione del migliore non è la più efficace. Ci siamo quindi chiesti se ci siano altre strategie, apparentemente anche paradossali, che migliorano il rendimento complessivo dell’azienda».
Garofalo – «Il nostro interesse per il principio di Peter è nato dal fatto che il suo studio è stato ristampato in Italia nel 2009. E vorrei sottolineare che la ricerca è praticamente a costo zero, perché fatta quasi totalmente al computer. Però è “ad alta libertà di pensiero”».
Rapisarda – «”Alta libertà di pensiero” perché giungiamo al paradosso che la strategia peggiore per il rendimento aziendale è quella suggerita dal senso comune “promuovi il migliore addetto del livello inferiore”. La strategia migliore è invece quella “random” cioé di promuovere qualcuno “a caso”. Quasi altrettanto efficace è l’ipotesi di promuovere alternativamente il migliore e il peggiore. E sarebbe meglio promuovere il peggiore rispetto a promuovere il migliore: in accordo con il principio di Peter, resterà il migliore al livello precedente. Ovviamente non abbiamo esplorato tutte le possibilità…».
La soluzione migliore per premiare la meritocrazia sembra quindi quella di “premiare i migliori affinché restino al proprio posto”. Sarebbe un po’ come quando nelle squadre di calcio si “premia” un giocatore alzandogli lo stipendio, pur di farlo restare?
Pluchino – «Ne parlavamo oggi tra di noi, e in effetti spesso accade che un calciatore pur essendo bravissimo, andando in una squadra più prestigiosa diventi un brocco. È una meritocrazia ingenua quella che ti sposta da un livello a un altro».
Garofalo – «L’importante è differenziare l’incentivo dalla promozione. In una organizzazione avviene sempre che ci siano dei posti da “riempire”, perché c’è sempre qualcuno che và in pensione ad esempio. Ma sorge un problema nel “promuovere” quando c’è un posto vuoto: in una gerarchia piramidale come quella da noi studiata quando togli uno che fa bene il suo lavoro a un certo livello per portarlo a un livello più alto, lo devi sostituire a sua volta. C’è quindi il rischio di “perdere” due volte: quando si sposta uno, i posti da riempire sono comunque due».
Ma al di là della ricerca, che vantaggi ci sono nella selezione “random”?
Rapisarda – «Contro la “meritocrazia ingenua” il sistema di promozione “random” ha due vantaggi riscontrabili da chiunque. Il primo è che possono emergere dei talenti che magari erano nascosti. Per esempio la cantante di grande nome che si ammala e viene sostituita dall’ultima arrivata che rivela improvvisamente il suo talento. E il secondo vantaggio è che rompe le correlazioni, quindi io non posso “spingere” un mio protetto o un parente, ma è un criterio assolutamente casuale. Un metodo che impedisce totalmente la raccomandazione».
Pluchino – «Un reale meccanismo di promozione sociale “random” impedisce il nepotismo, una delle piaghe delle università italiane, nessuno nega che ci siano intere dinastie di professori. Perché uno non può più dire con un sistema realmente “random” “ma se mio figlio era il più bravo, non dovevo prenderlo perché era mio figlio?”. Un sistema in cui si sfrutta una sorta di meritocrazia, che più che ingenua si potrebbe definire “furba”».
Funziona anche l’esempio con la nuova figura dei ricercatori prevista nel DDL 1905? (I tre sono molto attivi nella protesta contro la Riforma Gelmini, ndr)
Pluchino – «Penso di no. Andrebbe invece nella direzione giusta la proposta di riforma portata avanti a livello nazionale dalla Rete29Aprile, che sostiene l’introduzione del ruolo unico per Professori e Ricercatori. In questo caso esisterebbe un’unica figura di docente per cui la progressione di carriera avviene per scatti stipendiali, non per cambio di mansioni, aggirando così il principio di Peter».
Rapisarda – «Un altro punto controverso di questo DDL è proprio nelle gerarchie universitarie: nell’attuale sistema c’è una sorta di rotazione delle responsabilità, un qualsiasi docente può una volta diventare presidente di corso di laurea, una volta diventare preside di Facoltà, una volta Rettore, e poi dopo 6 anni tornare al suo mestiere. Invece qui si prevede la figura del Rettore “di mestiere” del Preside “di mestiere” ecc… e se lo faccio male, non essendo più carica elettiva, posso rovinare l’Università. Una rotazione più o meno random come l’attuale, è dimostrato, aiuta l’efficienza dell’organizzazione».
Dottore Garofalo, come mai un sociologo svolge con due fisici una ricerca del genere?
Garofalo – «Beh dal mio punto di vista la questione è semplicissima: la Sociologia non usa il metodo sperimentale e non può usarlo per ovvie ragioni, ma c’è la possibilità nuova del metodo simulativo, che già i fisici usano da molto tempo, che si sta cominciando ad applicare anche al campo delle Scienze sociali. I fisici utilizzano una modellistica tipica della meccanica statistica che si applica molto bene ai fenomeni sociali, e da questo punto di vista la collaborazione è fruttuosa. C’è da dire purtroppo che i sociologi italiani non applicano molto queste nuove forme di collaborazione forse per la paura di perdere il “primato” nel proprio campo».
Rapisarda – «Sono nuove branche, la socio-fisica, l’econo-fisica ecc… Che all’estero vengono invece molto incentivate, prima di tutto nei paesi anglosassoni, per dare un supporto più rigoroso a delle osservazioni che possono essere puramente speculative».
Applicazioni pratiche? Qualche azienda lo utilizzerà mai il sistema “random” di promozione?
Rapisarda – «Bè in realtà non si deve guardare solo dal punto di vista aziendale, ma una delle applicazioni migliori è nei sistemi “GRID”, con tanti computer in rete per calcolo in parallelo. La nostra ricerca potrebbe aiutare un sistema del genere nel distribuire i flussi di lavoro tra questi gruppi gerarchici di computer, senza “implicazioni psicologiche” nei lavoratori promossi o meno: sono solo macchine. Altra applicazione meno pratica nella filosofia: un’idea che può essere ripetutamente applicata fino a che non funziona più. Io posso usare un martello per battere un chiodo ad esempio, ma non per abbattere un palazzo, il martello sarebbe “incompetente” a svolgere questa mansione. In sostanza il nostro è un principio di Peter generalizzato perché si applica al “management” in generale, di qualunque paradigma, non solo alle aziende formate da persone».
Ultimo aggiornamento: 6 ottobre ore 13.19
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