Antonio Di Pietro sbaglia. Non può attaccare il Governo Monti perché si rifiuta di costituirsi parte civile nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Il Governo del nostro Paese, contrariamente a quello che pensa il leader di Italia dei Valori, sta mostrando grande coerenza.
Di Pietro dovrebbe sapere che uno Stato non può costituirsi parte civile contro se stesso. Se ciò avvenisse, beh, questa sì che sarebbe incoerenza. Mentre il Governo delle banche sta dimostrando di operare con coerenza nel solco della storia della Prima Repubblica italiana che, ricordiamolo, comincia in Sicilia la strage di Portella delle Ginestre e, con molta probabilità, si chiude sempre in Sicilia con le stragi del 1992-1993.
“Non cercate mai la verità, perché si manifesta giorno dopo giorno”, scriveva Albert Camus. E in Italia, dall’1 maggio 1947 fino alle stragi del 1992-1993 la verità si è manifestata giorno dopo giorno. Non nelle parole, ma nei fatti e negli atti: nelle bombe esplose nelle piazze, nelle stazioni e nei treni. E anche nelle sentenze che, magari non davano giustizia, ma che, spesso, non negavano la verità.
Rifiutandosi di costituirsi parte civile nel processo contro se stesso, lo Stato italiano fornisce l’ennesima manifestazione di coerenza verso la storia e verso la ragion di Stato. (a destra, foto tratta da viadelcampo.com)
Nel “Sogno numero due” dell’album “Storia di un impiegato”, Fabrizio De Andrè ci ricorda che cosa è il potere:
Imputato ascolta,
noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l’aorta e l’intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell’ultima emozione
quando uccidevi,
favorendo il potere
i soci vitalizi del potere
ammucchiati in discesa
a difesa della loro celebrazione.
E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.
Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l’indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato,
il potere ti è grato.
Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?
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