Trattativa: lo Stato ‘piegato’ dalla mafia

La trattativa -o le trattative – tra lo Stato italiano e la mafia. Il ruolo dell’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Il ‘siluramento’ di Nicolò Amato ‘sponsorizzato dai mafiosi. Ed è proprio Amato a raccontare l’Italia di quegli anni – un”Italia di stragi e di bombe – in una lunga intervista ad Affaritaliani.it.

Tra i tanti misteri che riaffiorano dopo vent’anni c’è anche una lettera dei mafiosi recapitata alle più alte cariche dello Stato di quegli anni.

“La mafia – dice oggi Nicolò Amato (foto a sinistra, tratta da notizie.libero.it)- ha chiesto attraverso questa lettera anonima la mia destituzione. Sta di fatto che questa richiesta è stata accolta. Qualche mese dopo l’arrivo della lettera sono stato mandato via senza una parola di spiegazione o di chiarimento. A conferma che la ragione vera non poteva essere confessata”.

Nicolò Amato è stato direttore del Dap dal 1982 al 1993, anno in cui viene allontanato, come dice lui stesso, “su pressioni della mafia”. Le parole di Amato arrivano nel momento in cui l’attuale Capo dello Stato del nostro Paese, Giorgio Napolitano, solleva il conflitto di attribuzione nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.

Pomo della discordia: le conversazioni tra lo stesso Presidente della Repubblica, Napolitano, e l’ex Ministro degli Interni, Nicola Mancino. Per la cronaca, i magistrati inquirenti della Procura di Palermo – che indagano sulla trattativa, o sulle trattative tra Stato e mafia – avevano messo sotto ‘osservazione’ Mancino, Ministro della Repubblica negli anni in cui sarebbe andata in scena la trattativa (o le trattative) vera o presunta (o presunte) tra Stato e mafia. Insomma: se Mancino poi parla con Napolitano, la responsabilità non può certo essere dei magistrati.      

Fare luce su quello che è avvenuto nel 1992 e nel 1993 non è facile. Basti pensare ai depistaggi organizzati per sviare le indagini sulla stage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta. Su questo punto Nicolò Amato è ottimista: “E’ una verità difficile. E’ molto complicato scoprire quello che è successo davvero. Però credo che siamo sulla strada giusta per scoprirla”.

E’ una testimonianza durissima, quella di Amato, il servitore dello Stato, a suo dire, odiato dai mafiosi perché non ne voleva sapere di togliere il carcere duro agli uomini di Cosa nostra. Parole pesanti come macigni, che non risparmiano nessuno. A cominciare dall’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.

“L’allora Presidente della Repubblica (Scalfaro ndr) – dice oggi Amato – decise la mia destituzione, nonostante la cosa non fosse di sua competenza. Perché fui mandato via? Sapevano che avrei proseguito sulla strada del carcere duro”.

La discussione scivola su una lettera spedita dai mafiosi alle più alte cariche dello Stato italiano di quegli anni. “E’ una lettera molto importante – dice l’ex numero uno del Dap – ai fini di scoprire la verità di cui stiamo parlando. E’ arrivata a Scalfaro nel febbraio del 1993 quando io ero ancora a capo del Dap. La cosa inquietante è che nessuno mi ha mai parlato di questa lettera ed è istituzionalmente inspiegabile perché la competenza a occuparsene era mia. Sarebbe stato un dovere mettermi a conoscenza di questa lettera, anche perché conteneva minacce nei miei confronti”.

Invece, in quegli anni, a giudicare da quello che oggi racconta Amato, lui di questa lettera non sapeva nulla. “Ne sono venuto a conoscenza solo qualche mese fa e ho potuto vedere che vi si chiedeva espressamente il mio allontanamento dal Dap, addebitandomi la “responsabilità” del cosiddetto ‘carcere duro’ nei confronti della criminalità organizzata”. (nella foto a sinistra, l’ex Presidente della Repubblica, Scalfaro, foto tratta da informarexresistere.fr)

“Grazie a una testimonianza acquisita attraverso un cappellano carcerario, don Fabio Fabbri – prosegue Amato – ho scoperto che pochi giorni dopo l’arrivo della lettera Scalfaro convocò al Quirinale l’allora capo dei cappellani carcerari, monsignor Cesare Curioni. Il Presidente comunicò a don Curioni, persona tra l’altro degnissima, che il mio tempo al Dap era finito. E lo invitava a mettersi in contatto con l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso al fine di trovare il mio sostituto”.

A questo punto Amato fa una precisazione: “Io racconto semplicemente i fatti, non accuso nessuno. Tantomeno Scalfaro, verso il quale ho sempre nutrito stima. Però quando sono venuto a conoscenza di questa circostanza mi sono chiesto che cosa c’entrasse la presidenza della Repubblica con la decisione di cambiare il capo del Dap”. Quindi il ‘siluro’: “La mafia ha chiesto attraverso questa lettera anonima la mia destituzione. Sta di fatto che questa richiesta è stata accolta. Qualche mese dopo l’arrivo della lettera sono stato mandato via senza una parola di spiegazione o di chiarimento. A conferma che la ragione vera non poteva essere confessata”.

Dopo questa precisazione non può mancare, da parte del giornalista che lo intervista, una domanda secca: la trattativa tra Stato e mafia c’è stata o no? Risposta di Amato: “Bisogna mettersi d’accordo sulle parole. Se per trattativa si intende che si sono seduti a un tavolo boss della mafia e rappresentanti di settori deviati dello Stato non c’è una prova che questo sia effettivamente successo. Però sta di fatto che la mafia ha esercitato sullo Stato e sulle istituzioni una pressione illecita sostenuta dalle stragi. E di fatto quello che la mafia chiedeva è stato concesso”.

Possibile che lo Stato italiano si sia piegato ai voleri dei mafiosi? Amato va giù duro: “E’ stata ribaltata la politica penitenziaria. Fino al 4 giugno 1993 la politica carceraria nei confronti della mafia è stata inflessibile e durissima. Quando sono stato mandato via la linea è diventata sin da subito molto più morbida. Io ho lasciato oltre 1300 detenuti di mafia sottoposti al 41 bis, che in pochi mesi si sono ridotti a circa 400″.

Un passaggio dell’intervista è dedicata al Ministro della Giustizia di quegli anni, Giovanni Conso, che si è assunta tutta la responsabilità della revoca dei 41 bis. Conso ha sempre affermato di aver preso tali decisioni da solo. tesi che non convince Amato: “No, sinceramente non ci credo. Il ministro della Giustizia non è in grado di prendere da solo decisioni di questo tipo, ma agisce sulla base di proposte del Dap. Ci sono degli appunti che dimostrano come le mancate revoche siano state proposte dal Dap ed essi smentiscono quanto ha detto Conso”. 

Non poteva mancare un riferimento a Vito Ciancimino. Una volta fuori dal Dap, Amato ha cominciato a lavorare da avvocato. Tra i suoi clienti, anche Vito Cincimino. Di questo hanno approfittato i suoi detrattori. Ma anche su questo punto Amato è chiarissimo: “Quando sono stato cacciato non mi è stata offerta nessuna possibilità di lavoro. Ho fatto l’unica cosa che potevo fare, cioè l’avvocato. E come avvocato ho difeso chi mi ha chiesto di essere difeso. Ciancimino l’ho difeso nel 1994 quando tutta la vicenda della trattativa era già, come poi abbiamo visto, definitivamente chiusa”.

Ultima considerazione, o meglio, ultima domanda: si arriverà alla verità sulla trattativa – o sulle trattative – tra Stato e mafia? “Bisognerebbe chiederlo a chi la cerca – conclude Amato -. Quel che è certo è che ormai gran parte della verità è nota. Ed è una verità sconvolgente, agghiacciante. Nella quale è stata sacrificata alla mafia la testa di chi aveva lottato per anni contro la criminalità organizzata del terrorismo politico e della mafia stessa. 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione

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