Trattativa, il pentito Grado parla del traffico di droga  «Soldi portati a Milano e reinvestiti grazie a Dell’Utri»

Oggi è stato il giorno della deposizione del pentito Gaetano Grado nell’ambito processo sulla trattativa Stato-mafia. Le domande dei pm di Palermo si sono concentrate sui rapporti tra la criminalità organizzata e la politica in quel periodo. Il pentito, ex uomo d’onore della famiglia di Santa Maria Di Gesù, ha raccontato che negli anni settanta la mafia aveva bisogno di riciclare i soldi guadagnati col traffico della droga. «Parte di quei miliardi venivano portati a Milano da Vittorio Mangano – ha detto –  che, tramite Marcello Dell’Utri, li reinvestiva nelle attività edilizie di Silvio Berlusconi». A raccontare al teste del flusso di miliardi che i clan di Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Salvatore Inzerillo e Saro Riccobono, cui lui era molto vicino, avrebbero riciclato sarebbe stato lo stesso Mangano, poi assunto come stalliere ad Arcore da Berlusconi. «Si trattava di diversi miliardi – ha aggiunto Grado – Mangano li trasportava in auto».

Grado ha poi raccontato di un incontro in un ristorante milanese di via del Senato al quale avrebbe partecipato anche Dell’Utri. «Fu mio fratello Antonino – ha detto ai pm – a dirmi di andare a Milano per incontrare Dell’Utri. Io non volevo perché non avevo simpatia per chi aveva legami con la politica, ma poi cedetti. A fine pranzo loro dovevano parlare di traffico e siccome io ero contrario alla droga mi allontanai». Il presidente della corte d’assise ha fatto notare al teste che negli anni 70 Dell’Utri non aveva ancora esordito sulla scena politica. Grado ha replicato sostenendo che già negli anni 70, ben prima della nascita di Forza Italia, Dell’Utri aveva interesse per la politica e avrebbe favorito alle elezioni regionali suoi candidati.

Il pentito, teste nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, continua: «Non parlo di politica. Non è ancora il momento. Ci tengo a campare ancora qualche annetto», afferma rispondendo al pm Nino Di Matteo, che ha chiesto perché abbia accennato ai rapporti tra Cosa nostra e Marcello Dell’Utri, tra gli imputati del dibattimento, solo dopo anni dall’inizio della sua collaborazione con la giustizia. «Nel 97 – ha continuato il teste – Dell’Utri era ancora in politica e io l’ho detto subito che di politica non parlo. Non è riuscito ad ammazzarmi Totò Riina, figuriamoci se voglio farmi ammazzare dallo Stato».

La parola è passata poi al legale dell’ex sentore di Forza Italia Dell’Utri, Giuseppe Di Perii: «Il giudizio della Corte d’appello di Palermo nei confronti del collaboratore di giustizia Gaetano Grado è stato di assoluta inattendibilità» ha detto, a fine udienza e poi ha precisato che «nella sentenza di primo grado a carico di Dell’Utri dell’11 dicembre 2004 c’è il contenuto di una conversazione tra Dell’Utri e Mangano in cui si davano del lei».

Redazione

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