Condannato per violenza privata a un mese di reclusione e a pagare una provvisionale di diecimila euro e altri cinque per coprire le spese processuali. Questo quanto stabilito dal tribunale per il medico Giovanni Spinnato, primario di chirurgia dell’ospedale di Termini Imerese condannato per aver somministrato in maniera autonoma e forzata una trasfusione di sangue a una paziente testimone di Geova.
La donna, costituita parte civile al processo contro il medico, era contraria a ricevere la trasfusione per motivi religiosi. Tuttavia, l’uomo avrebbe comunque deciso per la somministrazione, dopo che la paziente aveva subito un aborto spontaneo e, secondo lui, si trovava in pericolo di vita.
Il medico è stato assolto dall’accusa di aborto colposo. I periti in aula hanno potuto dimostrare che era avvenuto per cause naturali e non per una responsabilità diretta di Spinnato. Assolti, invece, altri tre medici anche loro a giudizio: si tratta di Carmelo La Rosa, Michele Terranova e Vincenzo Pio Falzone.
Nel 2010 la donna, che all’epoca aveva 25 anni, era stata ricoverata all’ospedale Cimino per una minaccia di aborto. Dopo un primo esame, che si era concluso positivamente, era ritornata per nuove complicazioni: occasione in cui i medici avevano accertato che il feto non aveva più alcuna vitalità, per questo da qui la decisione di asportarlo. Ma la paziente aveva negato l’autorizzazione a ogni trasfusione che sarebbe stata contraria ai principi del suo credo religioso. Ritenendo che ci fosse un pericolo anche per lei, il primario aveva deciso di fare ugualmente la trasfusione, informando anche la procura.
Una perizia medica ha confermato la sofferenza della donna ma ha escluso che versasse in pericolo di vita o si trovasse comunque in condizioni tali da essere salvata con una trasfusione. Al dibattimento il pm Luisa Vittoria Campanile ha chiesto la condanna di Spinnato a un mese di reclusione: la pena che poi il giudice ha stabilito con la sentenza. Il processo è stato seguito dalla comunità dei testimoni di Geova secondo la quale la decisione del giudice «è in armonia con il diritto nazionale e internazionale».
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