«Serve lavorare molto, serve soprattutto una nuova cultura, iniziando dalle scuole e dal dialogo coi ragazzini. Serve persino in una città come Palermo, malgrado siano stati fatti passi da gigante. Ci sono aspetti sui quali siamo ancora fin troppo indietro». Quando nel 2009 completa definitivamente il proprio percorso di transizione, Alessandra Barone sa bene che questo non basterà a darle la vita che sogna. Per ottenere il rispetto tanto agognato,quello che non guarda al sesso – a prescindere dal fatto che a deciderlo sia stata madre natura o un bisturi – ma alla persona in quanto tale, bisognerà sporcarsi le mani con una sorta di militanza, per sradicare una volta e per sempre pregiudizi, etichette e luoghi comuni. Nessuna condanna, però, da parte di Alessandra, la 33enne nata in un corpo di uomo.
Una consapevolezza, la sua, emersa già in tenera età, e che l’ha portata nel 2006 a decidere di intraprendere un percorso di transizione. Quello che dopo ben tre anni in balìa di interventi, psicologi, avvocati e perizie, le darà finalmente il corpo al quale ha sempre sentito di appartenere. Un percorso che lei stessa non esita a definire «doloroso e pesante» e che inevitabilmente ti condanna «ad avere delle cicatrici che ti porterai dietro a vita e che non potranno mai andare via». Passa altro tempo poi prima di riuscire ad avere anche i documenti di riconoscimento: «Sei mesi senza alcuna identità, non avevo nulla di temporaneo da poter mostrare, solo una cartella clinica». Conciliare finalmente il proprio corpo e la percezione che si è sempre avuta di sé ha, però, un costo molto alto. O meglio, lo comporta tutto quello che precede la transizione. «Vieni privata della tua gioventù e del tuo essere bambina, è una violenza in tutti i sensi».
«Dal momento in cui si sospetta la tua reale identità, scatta un atteggiamento diverso – racconta Alessandra -. Non importa che ti trattino bene o male, il punto è che chiunque, una volta intuito, cambia. È una reazione quasi incontrollata ma che ho riscontrato in tutti, alla fine. Scatta appena decidi di affrontare la tua fase transitoria». Che, appunto, non è che una fase. E in fondo la transessualità, a dispetto di tutte le dicerie in circolazione sul tema, non è che un passaggio da uno stato a un altro. Quindi per definizione un momento da attraversare, non un punto di arrivo. «Non significa prostituzione, macchina del sesso, oggetto sessuale – spiega infatti lei -. Il transessuale è innanzitutto una persona, che è onesta e rispettosa come ce n’è tante altre. Se esistono determinate situazioni che si tende a legare a questo tema, come la prostituzione, è perché ci sono altre realtà dietro».
Una su tutte è la difficoltà di trovare un lavoro. Che si aggiunge alla crisi dell’epoca con cui chiunque, a prescindere da un cambio di sesso o meno, è costretto a fare i conti. «Non ti assume nessuno, c’è ancora molta diffidenza e un certo disagio», rivela. Cambiare sesso, nel suo caso, ha significato addirittura avere problemi nel trovare persino un’abitazione e un padrone di casa scevro da pregiudizi che le permetta di firmare un contratto, affidandole le chiavi di un appartamento. Malgrado le difficoltà, però, Alessandra non ha nessuna intenzione di cambiare vita e di spostarsi. «Non voglio andare via dalla mia terra, piuttosto è la mia terra che prima o poi dovrà adeguarsi». Il dialogo con istituzioni e amministrazione, però, finora è stato totalmente assente e Alessandra ha fatto affidamento solo sulle sue forze e sulle sue battaglie a livello sociale. All’inizio è dura anche in famiglia. I suoi genitori ci mettono un po’ prima di schierarsi dalla sua parte e appoggiarla definitivamente.
La Vucciria, invece, il quartiere del centro storico da cui Alessandra proviene, ha vissuto il suo passaggio in maniera «inaspettatamente bella. Ho ricevuto molta complicità, anche se il deficiente di turno si trova sempre». Le situazioni spiacevoli, però, non si contano. Ma non provengono da quel quartiere troppo spesso messo alla berlina dai palermitani stessi, ma da contesti diversi. Come quello della scuola. «I miei atteggiamenti, già da ragazzina, palesavano quello che stavo vivendo, come mi sentivo. Tutti sapevano, insomma, ma gli insegnanti erano i primi a fingere di non sapere nulla – dice Alessandra -. Nessun adulto mi ha mai presa in disparte per domandarmi, parlarmi, rassicurarmi, per imparare a confrontarsi con me. E nessuno ha mai parlato con la mia famiglia, semplicemente questo discorso si evitava, non esisteva. Se non parli di una cosa, quella cosa non c’è». Da allora di strada Alessandra ne ha fatta. Prima classificata al concorso di Miss Trans Europa 2015, da anni è socia di Arcigay Palermo e volontaria del progetto PrevenGo dedicato alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. «C’è una scarsa cultura sul tema transessualità, persino a livello medico, bisognerebbe parlarne di più, specie nelle scuole, per fare in modo che le cose possano cambiare».
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