A vedere quel fumo che si solleva da lontano il primo pensiero è stato probabilmente quello di alcune sterpaglie date alle fiamme. Non è ancora mezzanotte, e in quella zona un po’ campagnola non troppo distante da Trabia non c’è nessuno in giro ed è tutto buio. Fatta eccezione per la luce arancione che viene da quel cono di fumo che va verso l’alto. Una fiamma che, percorrendo la via Ventimiglia, diventa qualcosa di più. È un rogo infatti, le fiamme sono altissime. I primi a vederlo sono tre ragazzi appena andati via da una festa di compleanno, stanno passando da lì proprio in quel momento e decidono di fermarsi perché sentono un rumore. Sono dei lamenti, sembrano quelli di un bambino. Scendono dall’auto e si precipitano verso quell’incendio, davanti a loro c’è un pit bull che guaisce disperato. È stato legato con una catena di nemmeno un metro alla ruota sinistra di un’automobile abbandonata e poi, insieme a questa, dato alle fiamme. Si dimena davanti agli occhi di quei passanti, nel vano tentativo di liberarsi dalla morsa che lo stringe.
Subito vengono chiamati vigili, pompieri, carabinieri e alcuni volontari che conoscono. Mentre due di loro si gettano contro quella catena nel tentativo di liberare il cane, prendendola anche a colpi di pietre, ma non ci riescono e uno dei due rimedia anche un’ustione al braccio. Dopo una ventina di minuti arrivano sul posto i vigili del fuoco di Trabia. «Lui ha lottato in tutti i modi possibili, guaiva, si dimenava, ma era impossibile – racconta una dei testimoni, ancora sotto choc per quello che ha vissuto stanotte -. Quando hanno spento le fiamme lui respirava ancora, ma era in agonia». I vigili chiamano i carabinieri, l’Asp veterinaria e il canile di Trabia, che è arrivato dopo una mezzoretta. È in quel momento che il cane smette di respirare. Persino con l’uso della tenaglia è stato difficile rompere quella catena per quanto fosse doppia. Poco distante, c’è un altro pit bull, è una femmina sotto choc e immobile che guarda il cane morto, accalappiata poi dal canile di Trabia. Iniziano i rilievi di rito, le foto della scena, il racconto dei testimoni sul posto.
All’Asp veterinaria non è rimasto che accertare il decesso del cane, ma scopre anche che l’animale è microchippato, così come lo è anche l’altro pit bull trovato lì, entrambi rispondono allo stesso proprietario. «Alcuni invitati nostri amici ci hanno trovati, poco dopo che eravamo andati via dal compleanno, lì disperati – racconta la testimone -. Una di questi amici è scoppiata in lacrime dicendo che prima aveva visto due ragazzi tirare un cane e che questo opponeva resistenza, ma non potevano pensare a una cosa del genere, solo dopo hanno ricollegato quella scena a quella vista prima». Intanto, il magistrato dispone che il corpo del cane venga restituito al proprietario, così come dovrebbe tornare a breve da lui anche quella ritrovata viva. Malgrado l’iter, in casi come questo e con una denuncia contro ignoti in ballo, preveda il trasferimento della salma all’istituto zooprofilattico per eseguirne l’autopsia. Sul posto, a quasi un’ora dal rogo, ci sono anche gli operatori de Il rifugio di Agada, che lì a Trabia hanno sia un canile sanitario che un rifugio e sono gli addetti autorizzati a intervenire in casi del genere: «Adesso è tutto nelle mani della magistratura – chiarisce il signor Genovese, del rifugio -. So che il giudice di turno stanotte ha dato disposizione di dare il cane al proprietario, dato che era microchippato. Poi saranno le indagini contro ignoti a fare il loro corso».
A fare capolino intanto è anche il terribile dubbio che fosse tutto premeditato, dal momento che è stato riferito che l’automobile data alle fiamme nei giorni precedenti al rogo era stata riempita al suo interno di cassette di legno della frutta, quasi come se fosse in programma di darle fuoco. «La cosa più atroce che io abbia mai visto, ho visto una vita morire lentamente davanti ai miei occhi. È diventato carbone, una morte lenta, un medico avrebbe potuto fargli un’iniezione magari per farlo andare via in un modo diverso. Cosa potevamo fare con quelle fiamme? – dice tra le lacrime la testimone -. Mi chiedo da stanotte che se fossimo passati un quarto d’ora prima magari le fiamme non sarebbero state così alte e avremmo potuto fare qualcosa, ma invece non è andata così. Purtroppo, anche dopo che la catena era stata rotta con la tenaglia, non è stato possibile avvicinarci, dovevano esserci i carabinieri e il veterinario».
Tra i primi a sapere della notizia c’è anche Arianna Faddetta, vice delegata Oipa: «È una vicenda atroce – commenta, ancora visibilmente provata da quello che le è stato raccontato questa notte -. Quando sono arrivate le primissime persone lui era ancora vivo, respirava. Ma le autorità presenti sul posto non hanno permesso di intervenire per via dell’iter da seguire, neanche a fiamme spente, per tentare di liberarlo e portarlo in una clinica. Non è come negargli ogni possibilità?». Intanto sono partire le denunce contro ignoti da parte dei volontari, ai quali resta la rabbia per quanto accaduto e, purtroppo, anche un senso di impotenza che è difficile da scacciare via. «È inaccettabile che accada una cosa del genere nel 2019. Come associazione ci costituiremo parte civile – annuncia Faddetta -, non solo per denunciare questo atto vile ma anche tutte le eventuali inadempienze. Stanotte non ho chiuso occhio al pensiero di questa vicenda, non si può commentare la crudeltà di un gesto del genere».
A raccapricciare enormemente è soprattutto il pensiero che dietro quest’azione non ci sia stata semplicemente la volontà di disfarsi dell’animale, abbandonandolo. Ma che anzi l’intento sia stato proprio quello di ucciderlo e, più precisamente, facendolo soffrire. Come si può concepire una cosa simile? «Lui era legato, è stato tutto premeditato, qualcuno ha voluto che lui morisse fra atroci sofferenze – riflette la vice delegata Oipa -. Continuo a ripetermi che se gli interventi che ci sono stati fossero avvenuti in maniera magari più tempestiva, questo pit bull avrebbe avuto una possibilità, per quanto piccola. Purtroppo non è la prima volta che assistiamo a queste cose a Palermo. Questo fa più rabbia, che nonostante le nostre continue lotte e denunce non cambia mai nulla qui, restiamo fermi».
Nessuno, insomma, per un motivo o per un altro, ha potuto fare nulla mentre il cane bruciava vivo davanti ai loro occhi. «Purtroppo le istituzioni in situazioni simili non sempre sanno darci appoggio. Non si può accettare una cosa del genere», insiste la vice delegata. «Quel cane ha sofferto maledettamente almeno per tre quarti d’ora, mi hanno detto che sembravano i lamenti di un bambino, è straziante, non riesco a darmi pace – si sfoga Faddetta -. Spero si indaghi davvero, questo cane merita giustizia. Ma è tutto davvero frustrante. Non puoi trovare una spiegazione a un gesto simile». Sgomento anche da parte di un altro volontario, anche lui avvisato già stanotte di quello che stava succedendo a Trabia, mentre gli operatori sul posto assistevano impotenti a quella morte atroce: «Non so dove andremo a finire – commenta Salvatore Libero Barone -. Ormai ho smarrito ogni parola contro questa società brutale, infame, meschina».
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