Tra le sculture di sale delle Madonie, alle ricerca delle ‘ombre’ della vita

A PALERMO, IL 18 SETTEMBRE, AI CANTIERI CULTURALI ALLA ZISA, LA PERFOMANCE DI MARCO RUSSO DI CHIARA E SPNIA BURGARELLO

di Marina Di Pasquale

“Agnello di Dio sotto sale” è il titolo della performance teatrale, ideata dal regista Marco Russo Di Chiara e dall’attrice Sonia Burgarello che andrà in scena il 18 settembre, nel corso della “Settimana delle Culture”, nello spazio due navate dei Cantieri Culturali di Palermo (ingresso libero).

Lo spettacolo, presentato per la prima volta lo scorso agosto a Petralia Soprana, all’interno del programma della II Biennale internazionale delle sculture di salgemma, descrive il tentativo disperato di una donna (Sonia Burgarello) che tenta di “preservare la sua innocenza”, rappresentata da una carcassa di agnello senza vita che la protagonista, compulsivamente, cerca di conservare/preservare con del sale.

Ci racconta come nasce l’idea di questa performance?

“Dal sale! Sono stato casualmente coinvolto in un’intelligente manifestazione, la Biennale internazionale di Salgemma, che si svolge ogni due anni presso la più grande miniera d’Europa di salgemma sulle Madonie. Dopo la discesa in quell’ ‘inferno’ bianco che è appunto la miniera, le idee sono sorte spontanee, a fiumi, anzi a palate: così io e Sonia Burgarello, mia amica ed attrice milanese che con me si trovava fra enormi massi di salgemma e polveri salate, ci siamo interrogati sul significato sia letterale che simbolico del sale, e dunque sulla sua caratteristica di preservare la carne… Da lì è stato un crescendo di creatività e indagine…”.

Cosa rappresenta per te l’innocenza e quali sono secondo te le forze che si oppongono alla possibilità di mantenerla in vita?

“Penso che innocenza significhi capacità di guardare il mondo senza censure, senza distogliere lo sguardo dalle ‘marcescenze’ del reale. L’impossibilità dell’innocenza potrebbe dunque risiedere proprio nell’incapacità, e nell’inerzia, di rendersi conto delle ‘ombre’ della vita”.

Come convivono le tue anime di regista, pittore e grecista? Cosa prendi da loro quando cerchi di realizzare un tuo progetto lavorativo?

“Esiste una profonda coincidenza fra pittura e regia: mi piace spesso paragonare la seconda ad una pinacoteca di quadri animati, e lavoro sempre con un approccio ‘pittorico’ sia all’audiovisivo che al teatro: qualsiasi scelta registica, fotografica, scenografica, è come delle pennellate che vanno calibrate secondo un disegno, un’idea precisi. Per quanto riguarda poi le mie competenze in campo umanistico-classico, procedo sempre, non solo in campo artistico, tenendo sempre presenti quei principi ‘classici’ sempre ‘attivi’ che il ‘miracolo greco’ ha irradiato: nello specifico, per quanto riguarda pittura e regia, sento profondamente mia la grande lezione greca della ‘simmetria’ in termini di armonia ed equilibrio fra principi opposti: le mie immagini, sia quelle sulla tela che su uno schermo, risentono meno di un Oldenburg o di una pellicola della Nuova Hollywood…”.

Da qualche anno sei impegnato in un progetto molto interessante che riguarda le tragedie greche che vorresti portare in tv. A Catania hai girato il set di Medea, ovvero la furia umana di una donna che attacca l’innocenza dei suoi bambini uccidendoli con il suo odio. Non pensi che l’odio possa essere il motore della destrudo umanissima’, come l’hai definita tu, che hai messo in scena?

“Certo, destrudo è distruzione, aggressività, potenza disgregatrice che si oppone alla logica organizzatrice della vita, spesso innescata dall’odio… Ma le due cose non sono l’una conseguenza dell’altra, bensì coesistenza; l’odio-destrudo sono insomma componente essenziale dell’esistenza, sono l’altra faccia della medaglia, l’ombra che getta ogni luce. Ed è proprio la consapevolezza, nonché la profonda capacità descrittiva che gli antichi greci avevano dell’anima dell’uomo e del mondo in questi termini che mi porta ad approcciare tutto secondo un canone classico. Il significato del progetto sulla traduzione in formato seriale di alcune tragedie greche risiede proprio nell’utilizzo odierno dell’ attuale descrizione greca di alcune tipologie dell’anima”.

Ma l’odio fa parte dell’amore: e allora come la mettiamo? Secondo te quando l’odio può diventare veramente distruttivo?

“Mi chiedi quanto l’odio faccia parte dell’amore: ti rispondo riproponendo l’immagine della doppia faccia della medaglia, o della coesistenza di luce ed ombra; la capacità, poi, di arginare l’odio risiede nella sua conoscenza: non si può evitare la ‘distruzione’ se non se ne conoscono i meccanismi, ed è impossibile preservare la luce se non si ha a che fare anche con l’ombra”.

Quali sono i tuoi film preferiti?

“Difficile rispondere perché la preferenza varia… Mi piaceva molto l’espressionismo tedesco e il suo contrario, ossia la Hollywood degli anni d’oro, adesso guardo con crescente interesse alla potenza destrutturante degli anni ’60… E dunque: Murnau, Lang… Capra, Ford… E poi Bresson, Bunuel… Un profondo interesse estetico continuo a nutrirlo per i grandi Russi come Tarkovskij e il contemporaneo Sokurov…”.

Un mito greco o un personaggio della tragedia greca per te fondamentale”.

“Edipo: e ritorno dunque alla capacità dell’ ‘innocente’ di ‘vedere’ l’ombra, di riconoscere la macchia, l’odio, per attraversarli…”.

 

Giulio Ambrosetti

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