«Il principio stabilito dalla Cassazione, sul diritto per chiunque a una morte dignitosa, è fuori discussione: ma non c’entra affatto con Salvatore Riina e con le sue condizioni di detenzione». A esprimersi, questa volta, sulla questione che da giorni sta dividendo l’opinione pubblica è il vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Claudio Fava. Secondo il deputato il boss già adesso godrebbe di condizioni di attenzione e cura tali che, al contrario, nel caso dei domiciliari verrebbero meno. «È ospitato in una struttura sanitaria ad hoc nell’ospedale di Parma, riceve cure e attenzioni mediche 24 ore su 24, è lucido, in condizioni di salute precarie ma stabili, riceve visite dei familiari e dei suoi difensori e assiste a tutte le udienze dei processi che lo riguardano. Certamente è accudito e curato molto meglio di come avverrebbe in caso di arresti domiciliari».
È d’accordo anche la presidente della Commissione Rosy Bindi, in visita anche lei ieri insieme a Fava all’ospedale Maggiore di Parma, dove Riina è ricoverato in regime di 41 bis. «Si trova in una condizione di cura e assistenza continue che, a dir poco, sono identiche, se non superiori, a quelle che potrebbe godere in status libertatis o in regime di arresti domiciliari – dice, facendo eco a Fava – e in cui gli è ampiamente assicurato il diritto, innanzitutto, ad una vita dignitosa e, dunque, a morire, quando ciò avverrà, altrettanto dignitosamente a meno che non si voglia postulare l’esistenza di un diritto a morire fuori dal carcere non riconosciuto dalle leggi». La presidente sottolinea, inoltre, che malgrado il precario stato di salute del boss, quello mentale appare ad oggi tutt’altro che alterato. Nonostante le difficoltà motorie, quindi, è «perfettamente in grado di intendere e di volere, ancora vivamente interessato alle sue vicende processuali, nella sua piena condizione di manifestare la sua volontà e, di converso, non avendo mai esternato segni di ravvedimento».
Tutti fattori, secondo Rosy Bindi, che contribuirebbero a rendere «immutata la sua elevata pericolosità», a dispetto delle sue condizioni fisiche. La visita della Commissione è proseguita presso il carcere di Parma, dove Riina è stato sino a gennaio 2016. Luogo, secondo la Cassazione che si è espressa nei giorni scorsi, inadeguato per le cure necessarie al boss: le dimensioni ristrette della sua cella impedirebbero la disposizione di un particolare letto rialzabile, fondamentale secondo gli ermellini per un «soggetto ultraottantenne, affetto da duplice neoplasia renale e con una situazione neurologica altamente compromessa, tanto da essere allettato con materasso antidecubito e non autonomo nell’assumere una posizione seduta». Nella cella, tuttavia, è già presente un letto di degenza con sistema manuale a disposizione di Riina da oltre un anno. Inoltre, il direttore del carcere, Carlo Berdini, ha anche spiegato alla Commissione che esisterebbe già un progetto, che prenderà il via a breve, per ampliarne la cella e che permetterebbe «sia di installare un letto ospedaliero più moderno, sia di creare un bagno accessibile con la sedia a rotelle, sia di consentire al personale della ASL di somministrare con maggiore facilità i trattamenti riabilitativi».
Trattamento, questo, che secondo la Commissione andrebbe esteso anche agli altri detenuti che hanno bisogno, come Riina, di cure e trattamenti specifici. Soluzione che permetterebbe anche di non occupare i letti degli ospedali oltre il tempo necessario. «Tutto ciò richiederà un maggiore numero di personale specializzato penitenziario con aumento dei rischi – continua la presidente – Occorre dunque adottare tempestivamente soluzioni di ricovero e cura ottimali, per quanto possibile intramurarie dentro il sistema carcerario, in grado di soddisfare i diritti del singolo ma anche la tutela della collettività, nonché comunque soluzioni idonee a evitare ripetuti trasferimenti dei detenuti, adeguando ove occorra le stesse strutture sanitarie pubbliche con sistemi di videoconferenza».
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