‹‹Sono uno spudorato raccontatore di emozioni, un cantastorie anzi… un contastorie». Si definisce così, con tono da sfottò, un regista che riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo fino all’ultimo fotogramma del film. Giuseppe Tornatore ci spiega che usa “spudorato” proprio perché, nonostante abbia ricevuto delle critiche, continua a raccontare le sue storie, che lui definisce ‹‹ricche di sentimenti semplici, ma che commuovono il grande pubblico», come quelle che raccontano l’amore per il cinema e la solitudine di Totò e di Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso”; la sensualità e la solitudine in “Malèna”; la follia e la solitudine di una mamma che non potrà più avere figli in “La Sconosciuta”…
I suoi personaggi – che presentano come un unico comune denominatore la solitudine, anche se il regista ci tiene a precisare che ‹‹in realtà non sono soli perché hanno sempre qualcuno accanto che funge loro da ala protettiva›› – lui sa come rappresentarli, come descriverli, dando forza e respiro alle immagini (rendendole vive e vere, permettendo allo spettatore di abbandonare l’incredulità iniziale) come pochi sanno fare nel panorama contemporaneo. Esalta personaggi e sfondi, e scandisce le sequenze sui ritmi della musica di Ennio Morricone.
Come le avranno già chiesto in tanti, come si fa a capire che quell’idea che bazzica in testa può diventare un film e può essere ritenuta vincente? Dilemma a cui hanno cercato di rispondere migliaia di cineasti.
‹‹Perdonatemi il gioco di parole. Tutti hanno sempre risposto con risposte senza risposte. Ne voglio citare due. Akira Kurosawa che nel 1990 all’età di 80 anni disse “ho fatto moltissimi film, ma ancora non ho capito qual è l’essenza del cinema. E ancora Scola e Bertolucci, ai quali la gente chiede sempre come si fa a fare un film, rispondono “non lo sappiamo e forse facciamo cinema per questo. Ci credete che non lo abbiamo capito nemmeno noi?”. Con tecnica ed esperienza riusciamo a distinguere un buon attore, una buona sceneggiatura, una buona inquadratura da quella che non è opportuna per il nostro film. Ma in generale non si può definire come si fa un film, come un’idea possa diventare film e piacere al pubblico, perché gli ingredienti in campo sono sempre troppo diversi. Il cinema è costituito dalla combinazione di più linguaggi: espliciti e meno espliciti, questi ultimi sono i più importanti e difficili da miscelare. Il cinema non è una scienza esatta, per fortuna. Nel momento in cui avesse la pretesa di diventarlo morirebbe. Esso, invece, si trasforma, ma non muore››.
Insomma non esiste un’idea vincente, né una formula, ma esistono film che piacciono e basta. E i suoi piacciono molto. Non è dato sapere la “ricetta”, ma almeno può raccontarci da cosa ha tratto spunto per “Nuovo Cinema Paradiso” e “Il Camorrista”?
‹‹Il germe di “Nuovo Cinema Paradiso” nacque nel 1977, ben undici anni prima della sua uscita nelle sale. Mi trovavo in un cinema piccolissimo e fatiscente, a Bagheria, ed ebbi la possibilità di smontare un proiettore. Mentre lavoravo pensai che sarebbe stato bello costruire una storia ambientata dentro un cinema. Negli anni successivi l’idea venne sviluppata, dal soggetto passai alla sceneggiatura e così via fino al suo completamento. “Il Camorrista” invece nacque dall’incontro con un libro, un libro forte. Decisi allora di raccontare la vita criminale, dall’interno e non dall’esterno››.
E cosa ci può dire riguardo “Stanno tutti bene” e “La Leggenda del Pianista sull’Oceano”.
‹‹L’idea, che mi portò a creare “Stanno tutti bene”, risale ad un periodo in cui andavo sempre in un ristorante a cenare da solo. Una sera mi accorsi di un altro personaggio solitario come me. Chiesi al cameriere chi fosse. Mi rispose “Boh, sembra uno che viaggia”. Ma perché sembra? Cominciai a fantasticarci su, a fare congetture filosofiche. Il cameriere troncò le mie fantasie dicendomi “ha la valigia sotto il tavolo”. Iniziai un gioco nella mia mente che mi portava a pensare dove stesse andando quel probabile viaggiatore. Ebbi l’illusione che potesse essere un soggetto per un film. “La Leggenda del Pianista sull’Oceano”, invece, è un film nato da un racconto. Ma cosa può raccontare – mi chiesero più volte – un uomo su un palco mentre suona? Pensai potesse raccontare tanto. Tutto››.
Per realizzare i suoi film quante idee (soggetti) ci sono volute?
‹‹Negli anni ho sviluppato tante idee, ma ho girato fino ad ora otto film e mezzo. Migliaia di soggetti pensati, sognati ed immaginati per otto film e mezzo (e uno in cantiere). È difficile il mondo del cinema anche perché la realizzazione di un film la considero “un incidente”, dove devono tutti (produttori vari, assistenti…) essere d’accordo per produrlo; cosa davvero non facile. L’idea molte volte c’è, ma capita che non interessa ai produttori. Per esempio qualche anno fa, avevo tante idee e lavoravo su vari soggetti. Ne portai sei da far visionare e i produttori scelsero “La Sconosciuta”. Ci fu chi mi disse: “Che culo!”. Io ho il diritto di pensare e di realizzare le mie storie, c’è chi ha il diritto di sceglierle e chi di amare o odiare i miei film››.
Ne “La Sconosciuta” sembra sia cambiato il suo stile. Perché?
‹‹”La Sconosciuta” si avvale dello stile “giallo” per incuriosire: è un film (per il quale raccoglievo materiale da diciotto anni) di genere che fa arrivare lo spettatore alla soluzione poco a poco. Ho voluto raccontare questa storia così, e altre in altro modo. Tutto qui››.
Ogni volta quindi servono un metodo e una tecnica diversi per la realizzazione.
‹‹La tecnica è importante per disciplinare in maniera attraente una storia, ma ogni volta è sempre un’esperienza diversa. Come diceva Pasolini “la tecnica s’impara in pochi giorni, tutto il resto non s’impara”. Un film che intrattiene il pubblico per un po’ di tempo serve a capirsi dentro oppure semplicemente a far divertire. Ed io sono del parere che un film deve essere fatto per essere capito dalla gente; non come certuni che lo fanno per se stessi, per auto-idolatrarsi a mostri incompresi. Per esempio quando feci il film “Una pura formalità” che andò malissimo, perché non fu compreso, mi rammaricai parecchio››.
Lei è fiducioso nelle scuole di cinema e nel futuro del cinema?
‹‹Ho una visione fiduciosa del cinema che andrà sempre più a migliorare. La moderna tecnologia e il digitale servono nel linguaggio audiovisivo che è quasi diventato letteratura. Fra trent’anni il linguaggio audiovisivo sarà diventato come la scrittura, come tutti oggi fanno gli scrittori. Vedo con gioia questa possibilità così ci sarà meno trafila per far nascere un film e trovare il produttore. In più spero che la pirateria diminuisca ché è un oltraggio a tanto lavoro››.
Ai giovani appassionati cosa consiglierebbe?
‹‹Un giovane che scopre di avere questa vocazione prima deve fare un’accurata autoanalisi e poi andare avanti senza fermarsi mai. Se capisce invece che è un amore momentaneo meglio lasciar perdere. Le difficoltà sono troppe e ci vuole una convinzione forte. Poi quando si inizia a lavorare il trucco è portare avanti il progetto, come fosse la propria “creatura”, a qualunque costo: ogni scena deve rimanere tale per come la si è immaginata, cercando di scendere il meno possibile a compromessi col produttore che vorrebbe tagliarla. Essere semplici in tutto e a chi mi chiede se uso il macintosh o il windows rispondo: la macchina da scrivere››.
Qualche anticipazione sul film che a breve uscirà nelle sale?
‹‹Si chiama “Baarìa”, nome fenicio di Bagheria. Le scene che riguardano l’ambientazione moderna sono state girate nella mia città natale, detta anche “la città delle ville”; in Tunisia, invece, è stata ricostruita la vecchia Bagheria. Ha un cast quasi tutto siciliano tra cui Beppe e Rosario Fiorello, Valentino Picone, Leo Gullotta, Nicole Grimaudo… e poi la madrilena Angela Molina, Monica Bellucci, Raoul Bova e tanti altri. Non vado oltre…››.
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