The Da Vinci Code, la caccia… all’ultimo posto!

Titolo: IL CODICE DΛ VINCI (THE DΛ VINCI CODE).
Regia: Ron Howard.
Soggetto: tratto dal romanzo di Dan Brown.
Sceneggiatura: Akiva Goldsman.
Fotografia: Salvatore Totino.
Musica: James Horner.
Montaggio: Daniel P. Hanley, Mike Hill.
Interpreti: Tom Hanks, Audrey Tautou, Jean Reno, Ian McKellen, Paul Bettany.
Produzione: Imagine Entertainment/Columbia Pictures Corporation.
Origine: USA 2006.
Durata: 152′.

 

L’abbiamo tanto atteso. Finalmente ieri 19 Maggio in contemporanea mondiale è uscito. Ed ha invaso le sale italiane. Si tratta del kolossal tratto dall’omonimo best-seller di Dan Brown, che ha venduto 40 milioni di copie. Che ha sconvolto l’opinione pubblica, lasciando a bocca aperta i più “ignari”, ammirati gli studiosi in materia ed indignata la “contro-parte”. È “Il codice DΛ Vinci”.

Fedelmente a quanto si racconta nel libro, la pellicola mette in scena un thriller. Il professore di Harvard, Robert Langdon, viene accusato dell’omicidio del curatore del Museo del Louvre. A partire da questo momento, si troverà coinvolto in una fuga alla ricerca della Verità, tra indizi ed enigmi nascosti, che cercherà di interpretare grazie all’aiuto della criptologa Sophie Neveu, una nuova eterea Beatrice di matrice dantesca. Una trama avvincente, che toglie il respiro e spinge a divorare pagina dopo pagina, ad assaporare minuto dopo minuto. Ma come centinaia di altri gialli. Quel “quid” che ne ha immortalato la storia è la Storia stessa. Dietro un turbinio di azioni si staglia infatti la staticità di un Segreto, celato da secoli nelle opere del genio di Leonardo Da Vinci. Compito della coppia Robert-Sophie è decifrarlo e svelarlo all’Umanità. Ci riusciranno i nostri eroi? Come in una litote, l’acutissimo Dan Brown nega il contrario: i suoi protagonisti decideranno di serbare tale Mistero nelle loro anime, mentre sarà l’autore stesso a rivelarlo al mondo intero!

Con questa trovata, peraltro non inedita (ndr Brown ha anche affrontato di recente un’accusa di plagio, mossagli da Baigent e Leigh, i due autori del saggio “The Holy Blood and The Holy Grail”, 1982), lo scrittore ha scatenato le “ire di Dio”… La Chiesa, infatti, si dice toccata, violentata, in uno dei dogmi fondanti della religione cristiana. E nonostante le manifestazioni di protesta e le richieste dell’Opus Dei, organizzazione religiosa evocata nel libro, di apporre tra i titoli di testa l’indicazione  “opera di pura fantasia”, affinché il pubblico potesse prenderne le debite distanze, la casa distributrice Sony si è rifiutata, perché sarebbe superfluo in un’opera, quale una pellicola cinematografica, già per sua natura di finzione.

Il prodotto finito è stato presentato in anteprima planetaria all’apertura della 59a edizione del Festival di Cannes da tutto il cast al completo, sbarcato in pompa magna con una linea ferroviaria Eurostar appositamente creata (Waterloo-Cannes) a scopo pubblicitario ed effetto sensazionalistico. Le forti polemiche e aspre critiche che hanno “scortato” il cammino dello storico d’arte Brown sulla strada del successo e della ricchezza si sono lì tradotte in freddi silenzi e risate beffeggiatrici. E la critica italiana ed internazionale si è sbizzarrita: “Mediocre film di parola, di un buon regista medio” (La Stampa), “Si disperde in situazioni che Hitchcock avrebbe segnato con la matita rossa e blu” (Il Corriere della Sera), “Verso la fine crolla sotto il peso delle spiegazioni” (“Il Foglio”), “Molto rumore per nulla” (Il Giornale), “Un film verboso e scialbo” (Variety), “La Tautou guida come Schumacher. Tom Hanks, quando non partorisce idee geniali, ha l’aria di uno con il mal di mare” (Times). Insomma, una ricezione scettica e forse un po’ prevenuta. Solo lo humour britannico è clemente.

Nel contesto di tali disapprovazioni, questa sembrerà una voce fuori dal coro. Il film prende, coinvolge addirittura chi ne conosce ogni mossa, avendone letto il testo. Anzi, forse ai suoi lettori anche con maggiore forza. Il regista Ron Howard (il Ricky Cunningham di “Happy Days”) ha rinnovato il sodalizio con lo sceneggiatore Akiva Goldsman, che aveva valso loro un Oscar per “A Beautiful Mind”, per la conduzione del libro evento del XXI secolo. Dato l’esorbitante successo del romanzo (tradotto in 44 lingue), i due si sono ancorati strettamente alla storia, lunga 523 pagine, nei limiti di due ore e mezza cinematografiche, ma con trovate brillanti, della portata di un “Leonardo dei nostri giorni”. La tecnologia ha avuto un ruolo primario, tra vangeli e laser, papiri ed effetti digitali. Così, anagrammi ed indovinelli che nello scritto si possono assaporare con calma, grazie alla computer graphic sono stati resi sullo schermo con particolari soluzioni visive, ad esempio mettendo in risalto le lettere sulle quali si posa lo sguardo attento di Langdon. Mentre nella sequenza “rivelatrice” che ospita “L’ultima Cena” di Leonardo Da Vinci si useranno effetti speciali per evidenziare quegli indizi del grande affresco in cui sarebbero ravvisabili le tracce del legame fra Gesù e Maria Maddalena, il grande segreto celato dietro la “magica scodella” del Santo Graal. Anche il passato, sia quello personale dei personaggi, che quello storico (dalle Crociate al rogo delle streghe fino al funerale di Isaac Newton) riaffiora come una storia parallela attraverso flashback narrativi, ologrammi sfumati e sovrapposti. Ed infine, per motivi di economia del racconto, ma anche di coerenza di stile e tempo, l’intera scena dell’incessante affrettata ricerca bibliografica all’interno della biblioteca del King’s College viene risolta su un autobus per mezzo di un collegamento wap da un telefono cellulare. Interessante, anche se forse non incontra le esigenze della massa a cui è diretto, la scelta di mantenere in lingua originale le battute dei personaggi: si alternano latino e spagnolo nei discorsi tra l’albino Silas e il vescovo Aringarosa, francese ed inglese tra il capitano della polizia giudiziaria Bezu Fache e Langdon. Risultato? Una pellicola poliglotta, solo un po’ rallentata dalla parte didascalica. 

A dare maggior enfasi a storia, azione e scene un cast blasonato e azzeccato, che non punta alle qualità estetiche ma alla bravura. Tom Hanks è protagonista indiscusso, il professore universitario Robert Langdon. “Far parte de “Il codice da Vinci” è stata la ricompensa più significativa della mia carriera professionale” ha ammesso l’attore. L’esperto di simboli è affiancato in questa “caccia al tesoro” dalla bella genuina e tutta francesina Audrey Tautou (divenuta celebre con “Amelie”) nei panni di Princess Sophie, che avrà un ruolo chiave, se non verosimile. A comandare un inseguimento all’ultimo respiro è Bezu Fache (Jean Reno) l’ispettore soprannominato “le taureau” (il toro). Divertente e ironico in conferenza stampa lo schieramento inglese della troupe, che nell’opera coincide con “i cattivi”. Sir Ian Mckellan ha dichiarato: “Sono felice di aver contribuito a dimostrare definitivamente, dati i problemi che la Chiesa ha con l’omosessualità, che Cristo non era gay, visto che si è sposato con Maria Maddalena e ha fatto anche una figlia”. Mentre Paul Bettany, il monaco assassino a cui sono affidate scene al limite del pulp durante l’autoflagellazione, ha raccontato: “Quando Ron mi ha chiesto di interpretare Silas, io ho accettato immediatamente. Mi ha detto ‘Hai letto il romanzo?’ E io ‘Certo’ e poi sono corso a comprarlo!”.

La caccia al posto nelle sale cinematografiche e la corsa al botteghino è appena iniziata. Ci si aspetta un boom di incassi. Fautori o detrattori, si andrà a vederlo. Perché, come lo ha definito il suo onorevole regista, acerbo attore di “giorni felici”, è “un film che ha insieme il potere di intrigare, divertire il pubblico ed essere provocatorio”. Aggiunge “Ogni spettatore arriverà alla sua conclusione; non voglio dare la mia interpretazione perché il pubblico è molto intelligente e può vivere la sua esperienza personale”.
In fondo, si tratta di “scotoma: è la mente che sceglie ciò che vuole vedere”.

Benedetta Motta

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