Un accordo sindacale che risale a tre anni fa, portato a buon fine dall’allora presidente del collegio dei questori Paolo Ruggirello, incaricato dall’ex presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, di ridimensionare, tramite un trattativa con i rappresentati delle figure apicali dell’Ars, i loro compensi. Un’iniziativa ritenuta necessaria nell’ambito di un ridimensionamento complessivo dei costi della politica e sull’onda di una spending review che aveva portato a creare risparmi all’interno del parlamento siciliano per 77,8 milioni di euro.
La determinazione di un nuovo tetto era stata avvertita e intrapresa subito dopo l’approvazione della legge regionale del 2014 che riduceva gli stipendi dei parlamentari, portandoli da 17.000 a circa 11.500 euro lorde mensili. Ed ecco dunque arrivare la scure anche per i superburocrati, in particolare i segretari generali fino a quel momento in carica, i cui compensi arrivavano anche a 500mila euro lordi annui. Il taglio orizzontale voluto da Ardizzone e sostenuto dal parlamento, per le future cariche apicali, i consiglieri parlamentari in particolare, non consente di sforare la somma di 240 mila euro. Dopo le fortissime polemiche sui tetti degli stipendi fissati tramite quell’accordo sindacale che scadrà tra due giorni, il 31 dicembre, la strada su cosa fare sembra più chiara che mai. Resteranno. O perlomeno si fa sempre più chiaro il percorso che anche questa maggioranza intende seguire, quello del contenimento dei costi, restaurando le buone prassi fino a ieri in vigore.
I tetti agli stipendi dei superburocrati restano in vigore, sia perché lo stesso presidente dell’Ars Miccichè ha fatto un passo indietro rispetto al suo iniziale entusiasmo nel volerli eliminare, reintroducendo così i privilegi che erano dei vecchi dinosauri dell’Ars, sia perché il presidente della Regione Nello Musumeci ha definito «più che dignitoso» lo stipendio frutto di trattativa.
In ultimo un parere della Corte Costituzionale che si è pronunciata sulla misura, in vigore anche al Senato, dice che il tetto agli stipendi dei burocrati «si delinea come misura di razionalizzazione suscettibile di imporsi a tutti gli apparati amministrativi». Per la consulta «l’accordo trascende le finalità di conseguire risparmi immediati e si inquadra in una prospettiva di lungo periodo, configurandosi come una misura di contenimento della spesa, assimilabile agli altri capillari interventi che il legislatore ha scelto di apprestare negli ambiti più disparati».
In sostanza, con la delega al presidente del collegio dei questori, Giorgio Assenza, ci sarà un ritorno ai tetti, anche se non si sa se i parametri saranno gli stessi. Dopo le esternazioni di Miccichè in loro favore infatti, i sindacati dei dipendenti potrebbero aver già alzato la posta per puntare ad un tetto più alto. Secondo Paolo Ruggirello, ex presidente del collegio dei questori che ha inaugurato la prassi dei tetti all’Ars, ancora prima che la deliberasse il Senato a Roma, «i tetti devono essere ripristinati, così come i parametri nazionali al Senato, dove mi pare il presidente Grasso si sia già espresso in tal senso. Quella di Miccichè – ha osservato Ruggirello – è stata una dichiarazione infelice, perché se anche il Senato della Repubblica ha deciso di andare in questa direzione, con una delibera di Grasso sottoposta al consiglio di presidenza, è chiaro che l’Ars andrà in questa direzione. O si prende coscienza di continuare a contenere gli stipendi delle figure apicali, che senza i tetti sarebbero tre, quattro volte più altri di quelli di un parlamentare, e si prolunga la durata del provvedimento per altri tre anni, oppure l’Ars dica cosa vuole fare: non si può pensare di adeguarsi al Senato solo quando conviene».
«Oggi – osserva Ruggirello – il parlamentare percepisce più o meno 7000 euro di busta paga netti, vedere che un funzionario ne ottiene il triplo se non il quadruplo è assurdo. Non dobbiamo mortificare la classe politica e privilegiare i colletti bianchi, con oltre 10mila euro netti di stipendio al mese».
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