Testimone di giustizia rinuncia alla scorta Cutrò: «Meglio soli che male accompagnati»

Torna a far parlare di sè il testimone di giustizia Ignazio Cutrò. L’ imprenditore di Bivona (Agrigento) ha comunicato al ministero degli Interni la decisione di abbandonare il programma di protezione al quale è sottoposto. A scatenare la presa di posizione una serie di problemi di sicurezza iniziati durante una vacanza, la prima dopo anni di sacrifici, trasformatasi in una situazione kafkiana. «Sono andato con la mia famiglia in Calabria per qualche giorno, ma siamo stati lasciati per giorni senza protezione», denuncia il testimone che nel 1999 ha denunciato il racket delle estorsioni nell’Agrigentino. Dopo la sua ribellione gli estorsori avevano preso di mira la sua azienda con attentati incendiari e messaggi intimidatori.

«Ho scelto un residence anziché un albergo, così da stare in un ambiente più protetto, e ho comunicato tutto per tempo». Ed è al momento dell’arrivo in Calabria che inizia la confusione. Prima viene decretata la non pericolosità del luogo – «ma era pur sempre una struttura sconosciuta, senza cancelli» – e la famiglia Cutrò viene lasciata da sola per una settimana. Poi, dopo le insistenti richieste di spiegazioni, «ci viene detto che siamo in pericolo e che ci avrebbero portati immediatamente in Sicilia». Un balletto fatto di problemi di competenza e confusione, che termina solo con la fine del soggiorno calabrese.

Ma al rientro a Bivona per l’unico testimone di giustizia in Italia che ha scelto di vivere nel luogo nel quale ha denunciato le brutte sorprese non cessano. La scorta, il gruppo di angeli custodi che per anni ha vigilato sulla sua incolumità, è stata sostituita. «Gli agenti specializzati stanno a Palermo, a Roma. Qui mandano persone che hanno fatto mezz’ora di addestramento ad Agrigento», si sfoga. Personale inesperto, secondo l’imprenditore, incapace di reagire in casi di emergenza, che, per esempio, fa viaggiare la potenziale vittima di attentati su una monovolume, parlando in mezzo alla folla ad alta voce delle destinazioni e non vigilando nei momenti nei quali si è più vulnerabili come quando si sale in auto. «E allora meglio soli che male accompagnati. Portiamo l’arma dei Carabinieri nel nostro cuore – tiene a precisare Cutrò – ma non riesco a capire se la situazione dipenda dal territorio nel quale ci troviamo o da problemi interni. Se siamo cittadini da proteggere, lo siamo a 360 gradi», conclude l’imprenditore.

«Siamo alla frutta. Mi sento considerato come un pezzo di merda», commenta amareggiato. «Non si rendono conto che così mettono a rischio le nostre vite, ma anche quella della scorta». Per denunciare la situazione, «rinuncio alla mia protezione, ma la mia famiglia continuerà a essere sorvegliata. Se non riceverò risposta entro un tempo ragionevole, mi considererò un uomo libero e uscirò di casa da solo, andrò a lavorare e continuerò la mia attività antiracket».

Carmen Valisano

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