«Presidente, qui non c’è nessun interprete per l’imputato». Inizia con l’annuncio di un agente della polizia penitenziaria, collegato in video conferenza dal carcere di Sassari, l’ultima udienza del processo a Murad Al Ghazawi, il siriano arrestato a Pozzallo dopo uno sbarco di migranti avvenuto a inizio dicembre del 2015. Il ventenne, secondo i magistrati della procura di Catania e gli agenti della Digos di Ragusa, sarebbe un appartenente allo Stato islamico. Il processo, che si svolge con il rito abbreviato a porte chiuse, non è ancora entrato nel vivo dopo una serie di tecnicismi per la scelta delle modalità con cui svolgere le udienze. Al Ghazawi intanto ha anche cambiato avvocato passando dai legali Vittorio Platì e Giovanni Cavallaro al siracusano Luca Ruaro. Il nuovo legale però non ha mai incontrato il suo assistito e soltanto da alcuni giorni ha iniziato a studiare il caso. «Chiedo il rinvio dell’udienza – annuncia ai giudici – perché non conosco l’imputato». Ruaro ha anche chiesto che il siriano venga trasferito in un penitenziario «nella zona di Catania o in Sicilia, in modo da potermi agevolare nei colloqui, rendendo così effettivo il diritto di difesa». Al Ghazawi ha trascorso un lungo periodo nel carcere di Rossano Calabro, in una sezione dedicata ai presunti jihadisti e ribattezzata la Guantanamo d’Italia. Esclusa una breve parentesi nel penitenziario di Bicocca, dove è stato trasferito per presenziare a un’udienza a fine luglio, è stato assegnato in Sardegna.
La corte, presieduta dal giudice Giancarlo Vincenzo Cascino, ha accolto le richieste sullo spostamento del processo rinviando al 27 febbraio, disponendo anche la presenza in aula del giovane siriano. Per quella data è stato programmato anche il suo interrogatorio. Sulla proposta di trasferimento da Sassari si è invece opposto il magistrato Marco Bisogni. L’imputato, che conosce soltanto qualche parola in italiano, ha assistito al processo in cui è accusato di terrorismo da una saletta del penitenziario sardo. Soltanto alla fine ha chiesto di potere parlare telefonicamente con il suo avvocato. Prima di concedergli la possibilità, Cascino interviene per «precisare che ci siamo occupati di questioni preliminari, senza fare attività istruttoria e quindi non pregiudicando il diritto alla difesa dell’imputato». Che, fino a questo momento, ha capito poco di quanto accaduto nelle varie udienze.
Secondo l’accusa, Al Ghazawi farebbe parte dell’Isis ma restano diversi punti oscuri. Innanzitutto, come ripetuto più volte dai legali, il califfato nero si è radicato in Siria soltanto dopo che la famiglia Al Ghazawi aveva già lasciato la Siria, scappando a inizio gennaio 2013. Per dimostrarlo la difesa è venuta in possesso dei passaporti con i timbri che dimostrerebbero i passaggi alle frontiere. C’è poi la vicenda legata al presunto passaporto dello Stato islamico. Una sorta di lasciapassare per terroristi trovato in uno smartphone di Al Ghazawi e spacciato come un documento unico dai quotidiano La Repubblica e La Sicilia ma che in realtà, come MeridioNews ha dimostrato, si tratta di un fotomontaggio che circola da tempo sul web e che non ritrae nemmeno l’imputato, ma un cantante siriano che vive in Svezia. All’imputato viene anche contestata la vicinanza a Mufid Abu Nader, presunto capo della milizia siriana dei Martiri di Daraa: legata ancora una volta all’Isis, secondo i magistrati; semplicemente un gruppo ribelle al regime dittatoriale di Bashar Al Assad, secondo quando ricostruito dai familiari del giovane, che da mesi si trovano in Germania e non vedono il figlio dall’arresto a fine 2015.
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