Una scelta da molti non condivisa quella presa ieri dal giudice per il indagini preliminari Fernando Sestito, ovvero la scarcerazione di Khadgia Shabbi, da tre anni lavora come ricercatrice presso la facoltà di Economia dell’ateneo di Palermo.
La donna, una quarantacinquenne di origini libiche, ieri era stata arrestata per istigazione a delinquere in materia di terrorismo aggravata dalla transnazionalità. Secondo l’accusa, era in contatto con diversi foreign fighters. Nel giro di poche ore era arrivato il provvedimento di scarcerazione emesso dal Gip, che ha invece deciso per la donna, l’obbligo di dimora, dandole la possibilità di continuare a utilizzare il web. Provvedimento contestato dalla Procura, che ha promesso ricorso. L’indagine è coordinata dal procuratore capo di palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci e dal pm Gery Ferrara.
E c’è chi pensa alla possibilità di corsi di formazione per quei giudici che si trovano a dover trattare argomenti di questo tipo, legati dunque al terrorismo. «Mai mi sarei immaginato di difendere le procure della Repubblica, che in passato si sono caratterizzate per eccessi su fatti di cronaca, e di stigmatizzare l’operato di alcuni rappresentanti della magistratura giudicante. Ancora ieri infatti la giornata è stata caratterizzata da discutibili decisioni – dice Alessandro Pagano, deputato di Area popolare – ,come quella del gip di Palermo che ha deciso di scarcerare la ricercatrice libica, fermata per istigazione al terrorismo e propaganda alla jihad sul web, nonostante la contrarietà del procuratore Lo Voi e del capo dell’antiterrorismo Roberti». Per Pagano «a questo punto è chiaro che, di fronte a questa pericolosa deriva per la sicurezza nazionale e per la nostra stessa società, a causa di alcuni giudici, serve assolutamente che il Governo trovi una soluzione, raccordandosi nelle sedi istituzionali con l’Anm e lo stesso Csm. E valutare seriamente di prevedere ad esempio corsi di formazione specifici sul terrorismo, come proposto da Alfredo Mantovano, giudice della Corte d’appello di Roma. Anche la formazione è prevenzione».
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