Terremoto, 13 scosse tra Ragusa e Siracusa Ingv: «Inutile fare calcoli su ciclicità dei sismi»

A Giarratana la notte scorsa il Comune non ha chiuso. Il paese del Ragusano è al centro di uno sciame sismico che va avanti da due giorni e che ieri ha registrato due picchi – del 4.2 e del 3.7 della scala Richter – che hanno alimentato ansia e preoccupazione tra i residenti. Nelle ultime 48 ore la terra ha tremato per 13 volte, sprigionando la forza maggiore al confine tra la provincia iblea e quella di Siracusa. «C’è molto allarme e sono in costante contatto con la protezione civile regionale e la prefettura, ma è importante sottolineare che non è prevedibile nessuna evoluzione». A parlare è Bartolo Giaquinta, il sindaco del Comune ragusano, che, insieme al gruppo comunale di protezione civile, non smette di monitorare la situazione. 

Finora non sono stati rilevati danni consistenti. «Solo un muro crollato in una casa disabitata – conferma il primo cittadino – e abbiamo provveduto a chiudere la strada». Oggi le scuole a Giarratana rimarranno chiuse, «per verificarne meglio la stabilità». Anche il dirigente dei Lavori Pubblici del Libero Consorzio Comunale di Ragusa, Carlo Sinatra, ha inviato diverse squadre di tecnici nelle strade provinciali e negli edifici pubblici di proprietà dell’ex Provincia per monitorare le strutture. Ieri, poco dopo le 16.30, orario della scossa più forte, si sono vissuti attimi di panico. «Gente che urlava, molti si sono riversati in strada, fortunatamente è durato poco», hanno raccontato alcuni residenti di Palazzolo Acreide, altro paese fortemente colpito. «La protezione civile regionale mi ha rassicurato – aggiunge il sindaco Giaquinta – dicono che si tratta di scosse di routine, siamo in una zona a rischio sismico, anche se negli ultimi anni non era capitato uno sciame così intenso. In ogni caso, per quanto riguarda gli edifici pubblici come le scuole, nel nostro Comune due su tre sono antisismici». Il servizio Hai sentito il terremoto, realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Ingv, raccoglie le segnalazioni dei cittadini e, sulla base delle descrizioni fornite, realizza una mappa con i punti dove il sisma è stato più avvertito. Per la scossa delle 16.35, ieri, sono stati compilati 590 questionari da utenti residenti in 85 Comuni diversi.  

La scossa più forte è stata localizzata a sei chilometri di profondità. È stato cioè un terremoto superficiale. «Sotto i sette, otto chilometri sono considerati superficiali – conferma Gianluca Valensise, sismologo dell‘Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma -, chi abita sopra l’epicentro può avere danni. È quello che, ad esempio, succede con i terremoti legati all’Etna. Ma, al contrario, i sismi più profondi possono avere effetti importanti anche a distanza di molti chilometri». Non è stato questo il caso della scossa di ieri, avvertita fino ai confini tra le province di Catania e Messina, ma senza provocare danni. «Le scosse degli ultimi giorni – continua Valensise – cadono nel sistema di faglie Scicli-Ragusa-Giarratana, noto e studiato da molti colleghi. Un sistema che non produce terremoti particolarmente potenti, il 23 gennaio del 1980 ce n’è stato uno molto simile, con localizzazione identica e magnitudo del 4.6 che si è propagato, come ieri, in direzione nord, nord-est». 

Il sistema su cui insiste Giarratana fa parte della microplacca sicula-iblea, detta anche Plateau ibleo, una delle zone di interazione fra la grande placca africana e quella euroasiatica. Che, nei secoli ha generato numerosi problemi. «È la placca che ha provocato il terremoto del 1693 che ha distrutto buona parte della Sicilia orientale, ma anche quello del 1542, entrambi con epicentro a una trentina di chilometri a nord delle scosse di questi giorni». 

Da anni si parla dell’imminenza del Big one, cioè di un terremoto di magnitudo superiore al settimo grado della scala Richter che potrebbe colpire la Sicilia orientale, in particolare la zona dello Stretto di Messina. Un’ipotesi basata sulla ciclicità dei sismi più disastrosi: come detto 1542, 1693, e poi 1818 a Catania e 1908 a Messina. A questo si aggiungono gli studi di vulnerabilità, condotti dallo stesso Ingv e dalla protezione civile nell’ultimo decennio, sulle città più a rischio, Messina e Catania, con scenari da decine di migliaia di vittime, non solo per la possibile potenza dei sismi, ma soprattutto per la fragilità delle costruzioni, pubbliche e private. «I calcoli sulla ciclicità dei terremoti non hanno molto senso – spiega Valensise – i grandi eventi non sono prevedibili, perché hanno un tempo di carica anche di mille anni. Temo di più i terremoti di magnitudo intermedia, molto più frequenti e sfuggevoli, che, anche se più deboli, se si verificano immediatamente sotto un centro urbano, possono causare problemi seri, come successo a Pollina, nel Palermitano nel 1993, anche in quel caso di magnitudo 4.7 ma che causò ingenti danni».

Salvo Catalano

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