«Adesso la palla passa a noi, dato che si andrà al dibattimento». Sono i primi commenti di Nino Caleca, difensore del giornalista Maurizio Zoppi, rinviato a giudizio insieme al collega Piero Messina. I due sono accusati di calunnia e pubblicazione di notizie false, a causa di un articolo pubblicato a luglio dell’anno scorso sul settimanale L’Espresso sulla presunta intercettazione fra il presidente della Regione Rosario Crocetta e il suo medico Matteo Tutino. Secondo quanto riportarono i due cronisti, Tutino avrebbe detto al telefono, mentre parlava con il governatore, che l’allora assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino, figlia di Paolo, andava «fatta fuori come il padre». La veridicità di questa frase, ad oggi, non è stata ancora stata accertata. Nemmeno la Procura ne ha mai confermato l’esistenza.
«Il gip Giangaspare Camerini è giunto a questa conclusione dopo aver rigettato la nostra richiesta di ascoltare tutte le intercettazioni di questo processo», prosegue l’avvocato Caleca, che infatti non è rimasto sorpreso dalla notizia del provvedimento disposto a carico dei due reporter. «Questa chiaramente è un’istanza che noi riproporremo al dibattimento, perché noi siamo assolutamente certi che non può esistere nessun giudice che possa condannare Zoppi e Messina senza prima avere verificato se ci sia o meno questa intercettazione».
Il legale, quindi, ha già le idee molto chiare sul da farsi. «Pensiamo che nessun giudice riuscirà ad emettere una sentenza di condanna senza avere ascoltato tutte le intercettazioni. Continueremo nella direzione di questa richiesta fino a che, prima o poi, non sarà esaudita». Il processo avrà inizio il prossimo 7 dicembre.
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