Dovevano essere le aziende che combattevano Cosa nostra ma con la mafia ci sarebbero invece andate a nozze per anni. Da un lato Tecnis, Cogip e Artemis, colossi delle costruzioni con appalti ovunque, e dall’altro una schiera di boss. Si tratta di un elenco lunghissimo di presunti rapporti che avrebbero coinvolto non solo la famiglia mafiosa catanese dei Santapaola-Ercolano ma anche quelle di Messina e di Palermo. Le aziende dei due imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, avrebbero fatto da tramite per «introdurre la mafia nel mercato economico». Dieci anni d’indagini, culminate con il sequestro antimafia di oggi, che hanno permesso di svelare come i successori di Riina e Provenzano avrebbero addirittura «governato l’indotto, ottenendo subappalti e forniture». Parola del comandante del Ros dei carabinieri Giuseppe Governale.
Al banchetto avrebbero partecipato tutti. Dall’ex reggente catanese Angelo Santapaola fino a Matteo Messina Denaro. Un coinvolgimento, quello della primula rossa – ricercato numero uno sul suolo italiano-, che emergerebbe da un pizzino trovato nel covo di Salvatore Lo Piccolo. Il padrino palermitano di San Lorenzo, catturato nel 2007 insieme al figlio Sandro. I rapporti del duo imprenditoriale catanese con la mafia risalirebbero agli anni ’90 per proseguire fino al febbraio 2011. A svelare i retroscena è un dipendente che avrebbe fatto da intermediario, pare su esplicita richiesta di Giuseppe Costanzo, padre di Mimmo. A ricevere per primi i soldi sarebbero stati alcuni responsabili mafiosi del quartiere di Picanello: Carlo Campanella e dal 1995 fino al 2002 Rosario Tripoto.
Nel 2005 il dipendente factotum si sarebbe occupato anche delle richieste di denaro che le imprese di costruzioni ricevevano in provincia di Messina. Dopo una serie di trattative, compreso un faccia a faccia che sarebbe avvenuto a Catania, Giuseppe Ranno – questo il nome dell’impiegato – avrebbe raggiunto un accordo per la somma da versare per l’appalto della galleria Scianina sull’autostrada Messina-Palermo. Al tavolo, oltre al dipendente, si sarebbero seduti Carmelo Bisognano come rappresentante della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Angelo Tripoto e Angelo Santapaola. Tecnis, secondo quanto emerso nell’inchiesta, avrebbe versato cinque milioni di lire al mese fino alla fine dei lavori, salvo l’interruzione per un furto in cantiere nel maggio 2007.
Altri passaggi sugli appalti nella provincia peloritana emergono nella sentenza del processo Arcangelo. A parlare durante un’intercettazione ambientale, svelata da MeridioNews nelle scorse settimane, sono Angelo Santapaola, il cugino messinese Vincenzo e Natale Ivan Filloramo: «Devono avere una nuova regola… noi soldi non ne vogliamo più… noi vogliamo un importo sui lavori». Per chiarire il passaggio, riferito all’approdo di Tremestieri, gli imprenditori vengono chiamati qualche anno dopo per testimoniare a processo ma la loro versione non convince il giudice che li accusa di «negare l’evidenza». La procura vorrebbe processarli per falsa testimonianza ma la posizione viene poi archiviata.
Le ramificazioni dei rapporti pericolosi del colosso catanese si spingono anche a Palermo. Nelle carte dell’inchiesta Golem si fa riferimento a un pizzino trovato nel covo di Sandro e Salvatore Lo Piccolo. Un pezzo di carta, uno dei tanti sequestrati, che contiene un messaggio scritto a penna per Matteo Messina Denaro e dei riferimenti alla Cogip. Società del gruppo Tecnis che nel 2007 era impegnata nei lavori di ammodernamento dell’aeroporto di Punta Raisi. Lo Piccolo fa riferimento a un certo Mimmo, a dei ritardi, e dando del Lei a Messina Denaro scrive: «Mi scuserà per questi ritardi ma purtroppo qui da noi le cose sono troppo strette e bisogna muoversi con cautela». Da far lavorare, secondo gli investigatori, ci sarebbe stata un’impresa collegata a Rosario Lo Bue, reggente del mandamento mafioso di Corleone. La stessa zona dove Tecnis, inserita in un associazione temporanea d’imprese, nel 2008 ha realizzato la statale corleonese-agrigentina. Affidando un subappalto a una società della famiglia Aloisi, ritenuta vicina a Bernardo Provenzano.
L’elenco dei rapporti viene completato anche con l’inchiesta Iblis. L’affare in questo caso riguarda l’ampliamento del carcere di Bicocca, nella periferia sud di Catania. Un terreno da 25 ettari che nel 2006 viene acquistato per poco più di 300mila euro dalla AGRO.SI, società che celerebbe dei prestanome di Alfio Aiello, noto esponente della mafia catanese e fratello del rappresentante provinciale Vincenzo. Dopo poco tempo l’appezzamento viene rivenduto per quattro milioni di euro alla Tecnis. Tramite la Gest.immobiliare e fondiarie srl, di proprietà di Tecnis, sono stati versati 2 milioni 593mila euro senza ottenerne né il trasferimento della proprietà né la consegna del bene.
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