«Espansivi, cerimoniosi e, a volte, chiacchieroni» sono i tre aggettivi – preceduti dall’avverbio «estremamente» – con cui la direttrice artistica del Teatro Stabile di Catania Laura Sicignano ha etichettato i catanesi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera e che hanno fatto infiammare la polemica. Riassunta in una lettera firmata da una trentina di artisti locali tra cui Pippo Baudo, Leo Gullotta, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Romano Bernardi e Antonio Calenda. «La direttrice ignora la storia e il valore del teatro etneo e riprende lo stereotipo dei meridionali perditempo, pigri, indolenti e soprattutto incapaci», continua la nota che si conclude con il riferimento alla «abitudine costante di Sicignano di sminuire o addirittura demolire quanto è stato fatto prima del suo arrivo». Sotto le fiamme, però, ci sarebbe il carbone rimasto acceso da diversi anni. E che vede non solo una presunta spaccatura Nord-Sud, ma soprattutto una siderale distanza generazionale.
La fondatrice del teatro Cargo di Genova è arrivata alla direzione di quello etneo nel febbraio del 2018. Praticamente in concomitanza con il piano di risanamento del debito che ha evitato il fallimento dell’ente che era arrivato a contare un buco di oltre 13 milioni di euro di debiti. A Catania, Sicignano era stata accolta tra le polemiche per la sua vicinanza al Partito democratico, con cui nel 2010 si era candidata al consiglio regionale della Liguria. Superate quelle legate ai partiti, sarebbero rimasti altri tipi di questioni politiche di cui il botta e risposta di questi giorni sarebbe una manifestazione. Si tratterebbe, più precisamente, di «guerre e vendette trasversali tra diverse fazioni di attori catanesi», come le definiscono i bene informati dell’ambiente. Anche in vista della preparazione del terreno per i futuri papabili candidati a ricoprire quel ruolo che da sempre è tanto spinoso quanto conteso.
Arrivata da lontano dopo decenni in cui la direzione artistica era incarnata nel nome di Giuseppe Dipasquale, «Sicignano era stata chiamata per calmare le acque e per evitare la guerra tra fazioni». Obiettivo non centrato, a quanto pare, forse perché «ha scelto di puntare tutto sui giovani, facendo venire meno equilibri che si erano stabilizzati». È di giugno scorso la questione sollevata dal segretario della Slc Cgil Gianluca Patanè e dal responsabile del dipartimento degli artisti Luigi Tabita. «La direttrice del teatro continua a ignorare gli artisti del territorio che sono costretti a lavorare altrove». Il sindacato che conta più di cento iscritti del settore lamentava il fatto che solo sei avessero lavorato allo Stabile. Nel bilancio di fine anno del teatro, però, si parla di «trenta progetti, tra produzioni e co-produzioni (la cui fruizione, causa Covid, è stata spostata online, ndr) con oltre 100 artisti coinvolti scelti per l’80 per cento tra siciliani».
Altra questione sollevata dal sindacato è quella generazionale. «Su tre bandi per nuove produzioni, per due sono stati richiesti solo attori under 35. Quando, invece, nel territorio la fascia di artisti più numerosa è quella dai 45 ai 60 anni». Tra gli esclusi per questioni anagrafiche c’è anche una bandiera del teatro siciliano come Pippo Pattavina. Secondo l’attore, classe 1938, «Sicignano ha cancellato 50 anni di storia dello Stabile tagliando fuori – spiega a MeridioNews – tutta la vecchia classe attoriale che ha fatto grande il teatro catanese non solo in Sicilia, ma in Italia e nel mondo». Per la direzione, si tratta però di un «rinnovamento artistico, in chiave contemporanea, dell’identità del Teatro Stabile», per «valorizzare la nuova drammaturgia siciliana», si legge nella nota di fine dicembre, ma anche per «riconquistare credibilità nel panorama nazionale con produzioni importanti».
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