Teatro Stabile, il nuovo corso pensato dalla direttrice «Veniamo da una tempesta, ora tocca alle istituzioni»

«Non le dà fastidio che si cerchi dall’inizio di capire se è stata raccomandata e da chi?». «Certo che mi dà fastidio. Questo è un problema enorme: sembra quasi inconcepibile che una persona abbia ottenuto risultati grazie solo a impegno e lavoro. Una cosa posso dirla: mi sento inattaccabile, davvero». Laura Sicignano, la nuova direttrice del Teatro Stabile di Catania, risponde a tutte le domande senza esitazioni. Sgrana gli occhi quando le si racconta di una presunta parentela di cui si è chiacchierato, e che la vorrebbe vicina non tanto al ministro della Cultura Dario Franceschini – come dichiarato pubblicamente dall’ex assessore regionale Vittorio Sgarbi – quanto al presidente del consiglio di amministrazione Carlo Saggio. «Non lo conoscevo prima di essere chiamata per fare il colloquio. Del cda, per la verità, non conoscevo nessuno – dice Sicignano – E quanto al nome che mi ha fatto: non l’ho mai sentito nominare. Il mio cognome non è neanche così comune». Ma come, non si arrabbia? «Mi arrabbio, mi arrabbio. Però che devo fare? Io sono a posto con la mia coscienza. Come si sentirebbe lei, da donna, se si trovasse al posto mio?». Il tema, alla fine della fiera, è sempre lo stesso: donna e, visti i suoi predecessori, giovane («Giovane? Io? Alla mia età ancora mi credete giovane?», si stranisce, 51 anni da compiere), chissà chi l’ha messa dove sta. «La mia professionalità».

Direttrice Sicignano, Catania non le ha dato un’accoglienza particolarmente positiva.
«No, direi di no. Forse giusto i primi dieci minuti (ride, ndr), poi però è andata meglio. C’è tantissimo da fare, e soprattutto da ascoltare. Vista la mia formazione, l’esperienza da cui provengo, sono abituata a formarmi da sola la mia squadra. Qui, invece, ci sono molte persone abituate a lavorare insieme da anni. Ma sono persone che escono da una tempesta, l’organico è molto disgregato, ci sono tensioni. Prima di tutto c’è un’unità da costruire».

C’è anche un Teatro Stabile da rimettere in piedi e la situazione delle casse non è semplice. Lei, però, ha anche esperienza manageriale. Ha visto i bilanci?
«Io non sono una direttrice artistica, questo è bene precisarlo. Io sono la direttrice di questo teatro, a tutto tondo. Significa che i bilanci devo leggerli e devo sapere cosa c’è scritto dentro. Quello dello Stabile vale circa quattro milioni di euro e adesso, dopo che abbiamo ottenuto l’omologa da parte del tribunale del piano di ristrutturazione del debito, sappiamo perfettamente quante risorse possiamo usare. Nessuno dei creditori ha fatto ricorso e i termini sono scaduti. Adesso ci stiamo organizzando per pagare il più in fretta possibile. Fatto questo, dobbiamo guardare avanti. E non possiamo farlo da soli».

È una richiesta di aiuto alle istituzioni?
«Non è una richiesta. Siamo un Teatro Stabile, ce ne rendiamo conto? Da statuto, gli enti che ne sono soci sono tenuti a finanziarlo. Questa è la loro parte, non possono tirarsi indietro. Siamo in lieve ripresa, il teatro è frequentato, la sala è sempre quasi piena, ci sono parecchi giovani. È stata attivata, grazie al lavoro della vicepresidente Lina Scalisi, una interessante convenzione con l’università di Catania. Di fronte a tutto questo, il Comune, la Città metropolitana e la Regione devono fare la loro parte».

Lei è stata scelta per via del suo progetto triennale di rilancio. Cosa c’è dentro?
«Si chiama Pubblico/Privato. È un titolo, ma anche una dichiarazione d’intenti. Io penso che il teatro debba creare benessere, nel pensiero e nella persona. Voglio un teatro che mescoli le carte, che porti i classici ma rivisti in chiave contemporanea. Un po’ come al National di Londra, per fare un esempio. Voglio un teatro politico, ma nel senso vero del termine: il teatro della polis, quello abituato a elaborare i temi più rilevanti all’interno del teatro stesso, che dà voce alle periferie e che parla di quello di cui i cittadini parlano. Ma portando i ragionamenti a un livello più alto. Voglio portare a teatro tutte le fasce di età, dall’asilo agli anziani. Sono cose che si possono fare. Qui non si deve partire da zero, si deve solo riprendere un discorso che per un po’ è stato messo di lato».

Quanti soldi le servono per fare tutto questo?
«L’intero bilancio dello Stabile, e qualcosa in più. Nel mio programma ho aggiunto 300mila euro, che spero di riuscire a guadagnare dalle sponsorizzazioni».

Pensa di trovare sul territorio imprese che siano disposte a pagare 300mila euro per lo Stabile?
«Ci proverò. E non esistono solo le aziende del territorio. Mi vengono in mente i grandi sponsor tecnici, le fondazioni. Non ha senso non tentare neanche. Rispetto a quattro milioni di euro, 300mila euro non sono molti. Lasciatemi lavorare, possiamo provare a giudicare il mio operato a posteriori?».

È stato il Teatro Stabile di Genova a darle questa impronta così orientata sul marketing, vero?
«Lì mi sono occupata anche di questo per diversi anni, è vero. Ma non soltanto, ho una formazione piuttosto varia. Ho visto nascere e crescere teatri che adesso sono diventati istituzioni, ma che anni fa erano antagonisti, occupavano spazi, facevano rappresentazioni itineranti. Tutte cose che ora sono viste e riviste, ma che all’epoca erano completamente nuove. Lavorando in queste realtà ho imparato moltissimo sui tecnici, su cosa c’è dietro le quinte, delle energie e delle professionalità su cui si regge la macchina del teatro. Poi ho vinto, con un mio progetto, la possibilità di costruire il teatro Cargo, uno spazio industriale riconvertito e ristrutturato dal Comune di Genova. Bisognava inventarsi un teatro dove non c’era, formare un pubblico».

E qui? Quando avremo occasione di vedere la sua impronta sullo Stabile di Catania?
«La mini-stagione estiva non è stata pensata da me. Se n’è occupato il consulente selezionato dall’ex commissario Giorgio Pace, che ha fatto un lavoro eccellente. Io sto lavorando sull’estate 2019 e sulla stagione 2019/2020. Spero di riuscire a presentarmi al pubblico, però, prima della fine del 2018. Me lo auguro, per lo meno. Presto comincerò tanti incontri conoscitivi con le realtà del territorio, e moltissimi provini».

Per quella compagnia stabile che immagina e che ha raccontato durante la conferenza stampa?
«Sì, anche per quella».

Pensa che quattro anni da direttrice siano tanti o siano pochi per lasciare un segno?
«Prima i direttori rimanevano in carica vita natural durante, adesso la legge è cambiata. Penso che in quattro anni si possano avviare dei percorsi. Il mio teatro deve essere un’esperienza di civiltà. Ma fatemelo fare».

Luisa Santangelo

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