«Il Teatro Stabile di Catania a metà luglio 2019 ha appreso di una riduzione del contributo da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali pari quasi al 19 per cento». Comincia così la nota affidata alla stampa dal presidente Carlo Saggio e dal direttore Laura Sicignano. Il taglio, secondo i vertici dell’ente, mette a rischio i fragili equilibri raggiunti nel corso degli ultimi tre anni, il periodo durante cui il teatro sta tentando di mettersi alle spalle gli scenari più nefasti come il default.
«È evidente – proseguono – il grave danno che questa perdita, imprevedibile anche per una prudente gestione, procurerà ad un soggetto reduce da una severa crisi, a cui gli attuali vertici stanno tentando di porre rimedio». Saggio e Sicignano riavvolgono il nastro fino al 2016: «Avevamo rischiato il commissariamento, l’ente è stato commissariato, ha ottenuto una ristrutturazione del debito e, con una governance completamente rinnovata, dal 2018 sta letteralmente ricostruendo dalle macerie. Noi siamo nel dopoguerra. Abbiamo trovato un teatro senza magazzini, senza laboratori, senza uffici, senza pubblico, senza attrezzature, senza passione. Dipendenti allo sbando e pubblico deluso».
Nonostante le difficoltà, l’ente starebbe ritrovando una strada virtuosa: «Dal 2018 – si legge – pur essendoci precluso l’accesso al credito bancario (a causa della precedente gestione), stiamo pagando regolarmente personale e fornitori; stiamo svolgendo un importante lavoro di formazione dei dipendenti; abbiamo aumentato le presenze a teatro e le presenze giovani, attraverso un capillare lavoro di formazione del pubblico; stiamo spostando la programmazione verso scelte più coraggiose, rischiose culturalmente, qualitativamente più elevate; siamo tornati a costruire le scene con il nostro personale; stiamo ottimizzando le risorse economiche e umane; stiamo costruendo una tournée nazionale del massimo rilievo: stiamo insomma ricostruendo un teatro che era dato per morto, in un contesto territoriale difficilissimo».
Secondo i vertici del Teatro Stabile di Catania, tuttavia, l’ente sarebbe penalizzato dai criteri adottati dal Ministero nella ripartizione dei contributi: «La diminuzione del nostro contributo statale è causata dai seguenti fattori: nel 2019 il limite massimo di crescita dei contributi per i teatri italiani è stato elevato al 10 per cento. Non sono aumentate però le risorse disponibili. Se abbiamo vinto la competizione rispetto a noi stessi, con una performance miracolosa nel tentativo riuscito di salvare il Teatro da morte certa, non ci è ovviamente dato di incidere sull’assenza di un tessuto imprenditoriale incline alle sponsorizzazioni, sul default del Comune, sulla fragile situazione socioeconomica del territorio. Ebbene, secondo il Ministero, sono sostanzialmente proprio gli svantaggi che caratterizzano il nostro territorio a determinare la nostra bassa valutazione».
«Il Ministero – attaccano Saggio e Sicignano – quindi non considera il contesto territoriale, mette in competizione soggetti dispari per opportunità e ottiene così di punire chi opera in territori svantaggiati, di aumentare lo squilibrio tra Nord e Sud. Questo paradossale decreto è emanato in teoria per salvaguardare lo spettacolo dal vivo, che invece, evidentemente, uccide. I teatri che oggi si rallegrano per l’aumento dei loro contributi non possono ignorare che questi criteri di valutazione finiranno per distruggere l’intero sistema teatrale italiano, trattato come un campionato di calcio, dove vigono regole di sfrenato mercato, come se il servizio culturale che è nostro dovere offrire al nostro territorio, fosse un merce in vendita. Quindi: non sparate sul Teatro Stabile di Catania. La resistenza – concludono i vertici dell’ente – che il Teatro Stabile di Catania, con tutti i lavoratori compatti, opporrà a questa ennesima difficoltà – siamo fiduciosi – alla fine meriterà la giusta ricompensa».
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