Teatro mobile di Catania, in scena Operazione rimpatrio Commedia corale in un’immaginaria Sicilia confederata

Si è conclusa il 27 aprile, al centro culturale Zō di Catania, la prima stagione del neonato Teatro mobile. E si è conclusa con successo sotto il segno dei fratelli Ferro. Testo di Guglielmo e regia di Francesca, direttrice artistica della compagnia, Operazione rimpatrio è una commedia corale e polifonica, tutta giocata su una mirabolante invenzione scenica: in un’immaginaria Sicilia confederata, il cancelliere Mirabella (Agostino Zumbo), ridicolo demagogo, invita tutti gli emigrati siciliani a tornare in patria.
Con rovesciamento prospettico vediamo dunque i siciliani d’oltremare diventare migranti nella loro stessa terra, e i nativi ribellarsi contro quella che viene sentita come una colonizzazione forzosa. 

Il copione di Guglielmo Ferro si dimostra brillante proprio nella diffrazione di questo nucleo tematico centrale in un ventaglio di storie e caratteri: le famiglie Scalia e Pappalardo, entrambe guidate da uno stupendamente umano Domenico Gennaro, una donna (Ileana Rigano) costretta a lasciare Agrigento e cambiare nome per sfuggire alla mafia che le ha ammazzato la famiglia, la coppia gay che viene dall’Argentina (esilarante il duo comico composto da Renny Zapato e Plinio Milazzo), il cardinale Mirabella, fratello dell’omonimo cancelliere (interpretato dallo stesso Zumbo), i giovani innamorati Sam e Anna

La regia dinamica di Francesca Ferro incalza alla perfezione il ritmo vorticoso della drammaturgia: i personaggi entrano ed escono sorretti da piattaforme su ruote, ora da destra ora da sinistra, a turno o insieme, e restano in scena giusto il tempo di poche battute. A fare da connettivo tra questi fulminei passaggi un coro di giovanissimi attori, che fatto salvo per alcuni momenti di presenza scenica efficace spesso arranca nel tener dietro ai molteplici filoni narrativi. Tra questi, anche quelli che potrebbero sembrare quadretti comici a sé stanti si risolvono poi sempre in vicende organiche e interconnesse, che collidono fatalmente nella catastrofe finale. 

Ne emerge un affresco umoristico, tragicomico, della società siciliana, con i suoi retaggi di un passato – politici corrotti, ecclesiastici collusi, omicidi di mafia – che fa sentire ancora la sua incombenza tra i cascami di un presente deforme. La vicenda, pur nel suo dipanarsi di una comicità sempre immediatamente godibile, non manca di una sfumatura di black humour (scalfito solo da un paio di tratti di patetismo gratuito) mentre il mondo immaginifico evocato precipita in un’anarchia distruttiva.

Andrea Tisano

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