«Si festeggia il fatto di esserci ancora e non perché nessuno ci ha sbattuto fuori, ma perché abbiamo ancora voglia di starci». Così Cesare Basile, cantautore catanese e componente della federazione siciliana delle arti e della musica L’arsenale, spiega il senso dell’evento che si terrà venerdì 16 dicembre alle 21 per festeggiare i cinque anni del teatro Coppola. Il bene culturale negli ultimi anni è stato al centro di dibattiti e polemiche. Occupato dagli artisti che continuano le loro attività al suo interno e che ha rischiato di finire nel piano delle alienazioni dei beni immobili del Comune di Catania.
«Le nostre decisioni non sono mai dipese e non dipenderanno mai da quelle dell’amministrazione – chiarisce Basile – e il loro vendere o comprare ci riguarda poco, perché non siamo mai passati dall’umore del Comune per decidere se continuare con la nostra esperienza». «Pochi giorni fa – continua – la testata La Sicilia pubblicava Salvato il teatro Coppola. Ma il teatro non lo salva nessuno, soprattutto l’amministrazione comunale. Si salva da solo e lo salvano le persone che lo frequentano sia come occupanti sia soprattutto come pubblico, riconoscendo la sua esistenza come luogo di socialità e laboratorio artistico».
Che resiste nonostante attorno comincino a chiudere teatri storici come la sala Angelo Musco, grazie alla voglia e al bisogno di essere indipendenti. «I teatri stanno chiudendo perché hanno cercato di vivere sull’assistenzialismo che veniva da parte della politica – spiega Basile – e non sono riusciti a rendersi autonomi. Fino a quando un teatro sarà schiavo dei ricatti economici di questa o quella amministrazione sarà sempre soggetto a pericolo di chiusura e non sarà padrone del proprio spazio inteso come esistenza artistica e politica».
Un importante obiettivo che il Coppola è riuscito a raggiungere e che merita di essere festeggiato, sperando che valga come esempio per chi vuole scovare nuovi spazi da dedicare alle categorie in crisi, come gli artigiani e tutti coloro che non riescono a trovare spazi per il proprio lavoro e le proprie capacità. «Ben vengano – conclude l’artista – le persone che decidono di occupare degli spazi per soddisfare il proprio bisogno e il proprio diritto ad abitare, in tutti i sensi».
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