Il radicarsi spaventoso della mafia, il sogno fallito dell’industria, la corruzione politica, l’inquinamento delle coste e la campagna pacifista contro lo stanziamento di missili nucleari nelle basi Nato della regione. Questo raccontavano i giovani giornalisti de I Siciliani, la rivista fondata da Giuseppe Fava un anno prima del suo assassinio in un agguato organizzato da Cosa nostra, nel gennaio del 1984. Perché la consapevolezza che ha la città di Catania del fenomeno mafioso è «molto superficiale, quasi di facciata», commenta Resì Ciancio, presidente della fondazione che porta il nome del giornalista.
«Si marcia insieme il 21 marzo, il 5 gennaio, nient’altro, poi non cambia nulla». Così, proprio il rapporto tra Giuseppe Fava e il capoluogo etneo sarà al centro dell’incontro di questa sera al Teatro antico di via Teatro Greco. E sarà Leo Gullotta, quest’anno, a leggere gli articoli del periodo catanese di Fava, tratti da I Siciliani e Microscopio, «oltre a un testo inedito, L’Innocente, scritto da Fava poco prima della sua laurea», continua Ciancio.
Un appuntamento fissato nel giorno del compleanno di Pippo Fava (quest’anno avrebbe compiuto 92 anni) e parte del percorso della fondazione intitolata al giornalista e per anni animata da sua figlia, Elena Fava, scomparsa a dicembre 2015. Quello in cui si impegna la fondazione è «rendere leggibile Fava – spiega la presidente – e, per rendere accessibili a tutti i suoi testi, abbiamo ristampato quello che abbiamo trovato e che era scomparso, come il Processo alla Sicilia».
L’obiettivo è contribuire all’educazione alla legalità dei cittadini catanesi, per questo la fondazione è presente nelle scuole e attiva nell’organizzazione di incontri culturali che tengano alta l’attenzione sul fenomeno mafioso in territorio etneo. «Leo Gullotta ha fatto un regalo alla città – racconta Resì Ciancio – nel momento in cui ha deciso di prestare la sua voce e la sua interpretazione a quei racconti di cronaca, e lo ha fatto facendosi pieno carico delle spese necessarie per la sua presenza qui, perché la fondazione non ha mezzi propri».
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