In questi giorni provo spesso la sensazione di trovarmi a una riunione condominiale sull’utilizzo del cortile di casa mia. I proprietari dei box non possono utilizzarli dato che altri condomini senza garage mettono la loro macchina in cortile. Per questo motivo ormai tutti, anche quelli che un garage ce l’hanno, hanno deciso di mettere la loro macchina in cortile davanti ai box. E chi si batte per liberare dalle macchine il cortile e metterci delle piante e un parcheggio per biciclette trova sempre la solita risposta: “io la mia macchina non la sposto finché non la spostano gli altri”.
Una dopo l’altra le categorie colpite dal pacchetto Bersani sostengono che sarebbe più efficace liberalizzare qualcun altro. Non sorprende. Stupisce però leggere autorevoli commentatori sostenere che il Governo non può intervenire solo su queste categorie. Sono tante, perché i provvedimenti riguardano ben dodici ambiti differenti (libere professioni, banche, assicurazioni, farmacie, class action, notai per passaggio proprietà auto/moto, taxi, trasporto locale, commercio, servizi pubblici locali, rafforzamento poteri Antitrust) rispondendo a ben venticinque pareri dell’Autorità garante della concorrenza e dei mercati. Ma si vorrebbe comunque che il Governo, prima di colpire queste rendite, d’un colpo riformasse le pensioni, il mercato del lavoro e magari abolisse il sindacato, attaccando frontalmente la propria base elettorale.
La logica del “o tutti, o nessuno” serve solo per impedire che ripartano le liberalizzazioni nel nostro paese. Da qualche parte bisogna pur cominciare ed e’ più che naturale che un esecutivo con maggioranza risicata voglia iniziare ad aggredire le rendite nei settori i cui interessi sono meno rappresentati tra i propri parlamentari. Se mai, bisognerebbe rimproverare i Governi precedenti per non essere intervenuti su rendite che non riguardavano da vicino la loro base elettorale. L’alternanza al Governo di un paese dovrebbe servire proprio anche ad alternare le rendite da colpire.
Chi si preoccupa per il fatto che le misure non colpiscano tutti, dovrebbe semmai pensare a modi per compensare le categorie colpite in
cui vi è una più alta percentuale di persone a reddito medio-basso. E’ il caso dei taxisti fra le categorie coinvolte dal decreto Bersani.
Per un taxista una licenza è come una pensione. Quando decide di ritirarsi dalla vita attiva (è un lavoro molto stressante, basta guidare un giorno intero nel nostro traffico urbano per accorgersene), vende la licenza e, col ricavato, si procura un reddito per il resto dei suoi giorni. Ogni incremento del numero di licenze provoca perciò al taxista una perdita in conto capitale considerevole, oltre che una potenziale riduzione dei propri redditi da lavoro futuri. Potenziale perche’, a prezzi piu’ bassi e piu’ corse i taxisti potrebbero mantenere i propri redditi. La domanda di taxi è molto sensibile a variazioni del prezzo: quando il costo di una corsa urbana diminuisce, vi saranno molte più persone che usano il taxi anziché la propria autovettura. Ma la perdita in conto capitale rimane e può essere molto rilevante. A Firenze si calcola che una licenza costi attorno a 300mila euro. Dunque, una riduzione anche solo del 10 per cento del valore di una licenza, costa 30mila euro, tra i due e i tre anni della “pensione” di un taxista.
Colpa di un mercato illegale delle licenze. Meglio, colpa di quella prima generazione di taxisti che ha ricevuto la licenza dal Comune a titolo gratuito e l’ha poi venduta alla generazione successiva a caro prezzo. Ma inutile prendersela col passato. I taxisti oggi in attività hanno pagato per le loro licenze e vedono perciò con legittima preoccupazione una svalutazione del proprio capitale. È la stessa sensazione provata da molti risparmiatori dopo l’11 settembre. Se allora non ce la si poteva prendere con un nemico invisibile come i terroristi, questa volta la fonte delle perdite in conto capitale ha un nome e un cognome. Compensibili soprattutto per chi ha comprato la propria licenza da poco. Chi lavora da tempo, ha presumibilmente acquistato la licenza a prezzi molto piu’ bassi di quelli a cui potra’ venderla anche dopo la liberalizzazione.
Le proteste di questi giorni non sembrano tenere conto del fatto che il provvedimento varato dal Governo in realtà prevede misure di compensazione per i taxisti. Si prevede l’80 per cento dei proventi dalla vendita delle licenze venga destinato ai taxisti che rimangano titolari di una sola licenza.
Supponiamo pure che dopo l’incremento del 10 per cento delle licenze in circolazione, il valore delle licenze diminuisca del 10 per cento. Ogni taxista perderebbe in conto capitale 30mila euro, ma si vedrebbe ssegnata una compensazione pari a 22mila con una perdita netta, quindi, di ottomila euro. Qualora la compensazione salisse al 100 per cento (potrebbe essere proposto per chi ha da poco acquistato la licenza), la perdita sarebbe “solo” di tremila euro. Tenendo conto che i vincoli attuali al numero di licenze sono molto stringenti potrebbe anche essere che la perdita associata alla liberalizzazione sia ancora più contenuta.
Certo non sarà così se i taxisti continueranno, nelle loro pur legittime proteste, a prendere in ostaggio i cittadini e a bloccare il traffico sotto la canicola. Prima o poi qualche sindaco in cerca di popolarità si rivolgerà ad agenzie di trasporto privato creando un pericoloso precedente. Dimostrerebbe a tutti che si può fare anche a meno dei taxi.
[Pubblicato col titolo “Un taxi chiamato desiderio” su http://www.lavoce.info ]
[Le foto sono state scattate all’aeroporto di Catania]
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