Già qualche chilometro prima di arrivare a Taranto, dalla strada statale, si avverte un odore forte, nauseabondo, causato dalle sostanze «nocive» emesse nell’aria dalle industrie pesanti radicate sul territorio. «Noi stiamo pagando un prezzo altissimo a distanza di anni – dichiara il sindaco nonché medico Stefàno Ippazio- perché gli agenti tossici impiegano anche trent’anni prima di innescare la patologia conclamata». Qui vengono diagnosticati tumori e neoplasie rare, più che in altre città, perché questa è considerata da molti il “pozzo dei veleni”.
Tante le persone malate. Troppe e troppo giovani. “S” è un bambino a cui è stato diagnosticato un cancro tipico del fumatore (adenocarcinoma del rinofaringe) a soli tredici anni, un caso non riscontrabile nella letteratura medica internazionale, dicono. Come è possibile? Ce lo spiega Patrizio Mazza, primario di ematologia all’ospedale “Moscati” di Taranto: «Si pensa che l’origine sia genotossica, questo significa che c’è una penetrazione in profondità delle sostanze inquinanti che attaccano il Dna, trasferendo ai figli l’ereditarietà ad ammalarsi». Tra le peggiori le diossine, che si depositano nell’ambiente e negli alimenti: respirate e mangiate, per lunghi periodi, diventano ineliminabili dall’organismo.
L’Ilva (dal nome latino dell’isola d’Elba, dalla quale a fine Ottocento era estratto il minerale di ferro che alimentava i primi altoforni costruiti in Italia, nata sulle ceneri della dismessa “Italsider”) è una società per azioni del Gruppo Riva, in prevalenza interessata alla produzione e trasformazione dell’acciaio, di conseguenza “produttrice” di diossine in grandi quantità. La legge anti-diossina, varata a dicembre 2008 dalla regione Puglia, imporrebbe un passaggio dagli 8 nanogrammi attuali per metro cubo d’aria ai 2.5, fino ad arrivare nel 2010 allo 0.4 stabilito dal protocollo di “Aarhus” (in vigore già dal ’98): «Ora, da una parte c’è l’acciaieria che afferma di non riuscire a raggiungere quella soglia per una serie di problemi tecnici; dall’altra, l’Arpa pugliese mostra dati che testimoniano che con l’utilizzo dell’additivo Urea l’Ilva ha già raggiunto il 2.4 a giugno 2008». Queste le parole di Alessandro Marescotti, presidente dell’organizzazione “PeaceLink”. Marescotti è convinto che già oggi si potrebbe usare questo additivo, ma non lo si fa per una ragione economica: «Si tratta di una spesa di circa ottanta milioni di euro», afferma Marescotti, che chiosa: «poca cosa, però, rispetto agli utili dell’Ilva negli ultimi quattro anni: duemila e cinquecento milioni di euro».
Ma di cosa parliamo quando parliamo di Ilva? Lo stabilimento siderurgico, uno tra i maggiori d’Europa e il più grande d’Italia, immette nell’atmosfera tarantina ben 32 tonnellate di idrocarburi policiclici aromatici (95% del totale nazionale) e 92 grammi di diossine e furani (pari al 92% del totale nazionale); oltre 74 tonnellate di piombo (78%) e 1,4 tonnellate di mercurio (57%). Questi dati, relativi al 2006 ed emersi da uno studio condotto dall’ Ispra (Istituto superiore per la ricerca ambientale), piazzano l’acciaieria tarantina al primo posto tra i complessi industriali più inquinanti del nostro Paese e non solo. Risulterebbe, inoltre, un’incidenza maggiore di tumori e leucemie tra gli operai del polo industriale e a ridosso di quest’ultimo, ovvero nel quartiere “Tamburi”.
Il comitato civico Taranto Futura ha proposto di recente un referendum consultivo sulla chiusura dell’impianto a caldo dell’Ilva e sulla riconversione delle attività. Ma l’idea non è andata in porto per un problema burocratico: «Il regolamento del comune di Taranto – spiega Nicola Russo, presidente del comitato – stabilisce che nell’anno in cui ci sono le elezioni amministrative non si possa tenere un referendum. Invece il decreto legislativo 267/2000 afferma che non è possibile soltanto in coincidenza di elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali: un mese prima o dopo si può fare dunque. Impugneremo questo regolamento dinnanzi al Tar».
I comitati cittadini e gli ambientalisti hanno organizzato parecchie manifestazioni, in queste ultime settimane, un po’ in tutta Italia per far conoscere a tutti la realtà tarantina, dove ognuno dei circa duecentomila abitanti, ogni anno, respira almeno 2,7 tonnellate di ossido di carbonio e 57,7 tonnellate di anidride carbonica… Per non parlare delle altre “schifezze” (dossier mercurio e diossina a cura dell’organizzazione “PeaceLink”) , che si assumono mangiando carni, formaggi e pesce. La situazione è stata fotografata dall’Eurispes che ha concluso il suo rapporto con una frase lapidaria: “Taranto è un’emergenza nazionale”.
È di qualche giorno fa l’accordo firmato a Palazzo Chigi tra Governo, regione Puglia, Ilva, provincia e comune di Taranto per limitare le emissioni di diossina: la regione Puglia si impegna ad approvare entro marzo una modifica alla legge regionale che farà slittare dal 1 aprile al 30 giugno 2009 l’introduzione del limite di 2.5 nanogrammi per metro cubo di diossina nell’aria. Rimane inalterato il limite di 0.4 entro la fine del 2010. L’accordo prevede anche che l’Ilva si impegni a presentare entro il 30 dicembre 2009 uno studio di fattibilità sull’adeguamento dello stabilimento di Taranto. Ispra ed Arpa Puglia, invece, si impegnano ad effettuare una ricognizione delle tecniche di abbattimento delle emissioni utilizzate in altri Paesi europei ed extraeuropei. Si vedrà se davvero c’è la possibilità per Taranto di respirare aria nuova.
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