Il quinto giorno del Taormina Film Festival (dovrebbe essere quello degli animali marini e degli uccelli) è pieno di impegni: un film, un incontro e tre masterclass. Si inizia subito con una masterclass, quella con Matt Dillon: il cinquantenne attore americano che tutti ricordano per Tutti pazzi per Mary, Crash e I ragazzi della cinquantaseiesima strada. L’attore inizia col complimentarsi per l’ospitalità, evidenziando come questa sia una caratteristica importantissima per la creazione di bei personaggi, perfettamente utili per uno sceneggiatore. Subito dopo prosegue con una breve dissertazione sull’evoluzione della tv e del cinema dal ’70 a oggi, sottolineando come il cambiamento degli strumenti tecnologici tenda a cambiare anche il modo di fruire il cinema e l’intrattenimento, portando, ad oggi, a una preferenza verso la tv, più immediata ed intuitiva per la massa.
Dopo alcune domande su musica, alle quali risponde sempre con serenità e divertendo, si passa ad un nuovo complimento alla location: «Sarà difficile proiettare i film qui, di giorno chi si va a chiudere dentro una sala con un sole e un mare così?». Le ultime due domande sono per la sua esperienza con Francis Ford Coppola, da cui dice di aver imparato molto, da qualsivoglia punto di vista, ma soprattutto il rispetto verso il cinema, quello con la C maiuscola. Poi gli viene chiesto, da parte di una giovane attrice appena laureata alla scuola di recitazione, cosa fare come primi passi verso il successo. La sua risposta è stata molto seria e profonda. Ha ricordato ai giovani che prima di essere attori sono persone, poi artisti e infine attori, ha consigliato quindi loro di fare di tutto in campo artistico, di non limitarsi alla recitazione, senza aver paura di sbagliare. Per questo motivo dieci anni fa Dillon ha iniziato un documentario sulla grande musica afrocubana, decidendo di passare così anche dietro la macchina da presa (racconta anche quanto sia difficile dirigersi da soli).
Dopo pranzo la sezione Filmaker in Sicilia regala una piccola perla: Era Ducrot. Un documentario sull’azienda Ducrot di Palermo, che ha dato tanto prestigio, e tanto lavoro, ai palermitani e alla città, ma che ormai è caduta nel baratro dell’oblio. Come enfatizzato nella breve presentazione dai due registi, Martina Amato e Sergio Ruffino del centro sperimentale di Palermo, nel titolo è racchiuso tutto il significato: era come verbo, a significare il fatto che ormai niente più esiste di questa fabbrica, neanche nei ricordi della gente comune; ed era come periodo storico, come fase in cui tutto veniva fatto dall’azienda Ducrot. Inizialmente viene narrata la nascita della struttura, la fondazione, le prime collaborazioni, fino ad arrivare all’arredamento di Montecitorio, dove i committenti cercano uno stile nuovo, senza però tradire il passato. Il racconto si sposta dopo circa metà più sulle persone, sugli aneddoti del nipote Vicky Ducrot e su quelli di un ex dipendente che ha cercato in tutti i modi di salvare il salvabile. Il documentario finisce con un’accusa alle banche e ai gruppi finanziari che acquistano le aziende, acquisendone i debiti, ma che poi non fanno niente per salvaguardare il nome o i dipendenti.
Dopo tocca a Vittoria Puccini, attrice celebre per Elisa di Rivombrosa, che racconta come per lei la recitazione sia arrivata per caso, con un provino per il film di Sergio Rubini Tutto l’amore che c’è. La discussione poi si sposta alle differenze tra cinema e tv: per gli attori è lo stesso, la recitazione non cambia, mentre quello che cambia, oltre al mezzo, è il modo in cui la storia viene veicolata. E di certo la tv riesce a raggiungere più persone, riesce ad arrivare anche in quelle località dove non ci sono più, o non ci sono mai stati, dei cinema (e allora ci si chiede come mai non portare lì del buon cinema, al posto di una tv certamente non di elevatissima qualità, essendo questo il festival del cinema). Ultima domanda sulla differenza tra caratteristi e attori, quelli con la A maiuscola: ovviamente lei si reputa, vista la sua ormai decennale esperienza e maturità professionale, una grande attrice, capace di cambiare ruoli, stravolgendo se stessa e stupendo il grande pubblico.
Dopo l’attrice fiorentina è il momento di una coppia hollywoodiana di grande fama, seppur non presente sugli schermi da un paio d’anni: la bellissima Bo Derek, accompagnata dal simpaticissimo John Corbett. La conversazione si muove piacevolmente tra cinema, musica (John ha un gruppo country con cui è in costante tournée per l’America) e romantici racconti di come la coppia sia nata. Piacevolissimo il racconto della visione di 10 di Blake Edwards, avvenuta insieme, solo dopo che la coppia era già formata. Per il futuro i due puntano entrambi alla serialità tv: lei farà da produttrice per una serie con protagonista una detective donna, mentre lui, insieme a Denis Leary, sta realizzando una serie dal titolo esplicativissimo Sex, drugs and rock&roll.
Ultimo incontro della giornata quello con Thione Niang, della fondazione Give1Project, organizzazione benefica che si occupa di dare la possibilità a giovani immigrati in Usa di avere fondi e aiuti per studiare e aprire attività economiche di vario tipo. Il ragazzo di origini senegalesi ha ricevuto numerosi premi internazionali per il suo interessamento ai problemi dei giovani e degli immigrati. Niang è anche il creatore e conduttore del Thione Niang Show, un forum online dedicato ad un impegno sociale e la consapevolezza dei temi di attualità nelle arti, società, affari e politica.
Al teatro Greco vanno in scena le premiazioni, prima del grande film della sera: si inizia con il Taormina Media award Goethe consegnato dal sindaco Eligio Giardina, Roberto Vecchioni e Tony Zermo a Claudio Angelini per il pezzo L’angolo degli dei pubblicato su AmericaOggi. Dopo viene consegnato, dal proconsole di Sicilia e Calabria per la federazione Russa, nonché ministro plenipotenziario (non credo di aver letto questo termine dopo il Ventennio) il premio internazionale Anna Achamatova, nato dalle ceneri del più celebre premio Etna-Taormina. Si passa poi ai Cariddi d’oro a Vittoria Puccini, al premio Città di Taormina a Bo Derek e al premio Mr. Clifton a Matt Dillon. Quest’ultimo premio consiste in un orologio, di cui Dillon aveva manifestato l’assenza durante la masterclass, portandolo ad esempio dell’evoluzione («Nessuno usa più, rispetto a tre anni fa, quando son venuto qui l’ultima volta, l’orologio – ha detto – ormai abbiamo tutti lo smartphone che ci dice l’ora, insieme a tutto il resto»). Sul palco anche Giulio Berruti e James Richardson, a presentare il film Walking on sunshine.
Il grande film della sera è un musical inglese, ambientato in Puglia (stranamente senza il patrocinio della Regione) che racconta la storia di due sorelle, le quali si innamorano in periodi diversi dello stesso uomo, il (secondo alcuni) bellissimo Berruti. Sulla falsariga di MammaMia! un film che vorrebbe riprendere le musiche anni ’80 e far divertire. Il problema della pellicola non sta nella infinitesima inconsistenza della trama, o nella qualità non certo eccelsa degli attori-cantanti o dei ballerini di contorno, ma nel mix complessivo: il tutto sembra, citando un amico, «un videoclip scadente degli anni ’80». Di certo le musiche son gradevoli (merito di chi le ha scritte) ma il film, oltre le suddette canzoni, ha ben poco da raccontare, e lo fa pure male.
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