Eravamo in tante ieri. Una moltitudine di donne, giovani e anziane, madri, nonne, figlie e nipoti. E c’erano anche tanti uomini. Una Piazza del Popolo traboccante, divisa da sentimenti contrastanti: festosa, silenziosa, indignata, attenta, offesa, speranzosa, determinata. Siamo arrivate qui ognuna con una sua idea di protesta. Il lungo dibattito sviluppatosi durante le ultime settimane, soprattutto su Corriere delle sera, Liberazione, Gli Altri e Il paese delle donne, sui contenuti dell’appello lanciato da una trentina di donne, ha visto le altre dividersi, ma tendersi la mani, criticarsi, ma cercarsi, articolare posizioni sempre nuove. I contributi sono stati moltissimi. Da Lea Melandri, che scrive “Non siamo l’esercito della salvezza”, a Imma Barbarossa “Uomini, la solidarietà non basta”, da Emma Baeri “Non ho firmato, ma camminando senza correre, e sorridendo, il 13 febbraio andrò in piazza, dove spero di incontrare moltissimi uomini” a Luisa Muraro “Il grave errore è andare in piazza per conto di altri”.
Lo spartiacque non era se esserci o no, ma come e perché. E del risultato non si può che essere contente. Più di 230 piazze, italiane e non solo, gremite: da Roma a Milano, da Palermo a Firenze, da Padova a Napoli, da New York a Parigi al Mozambico. Il movimento, ricco di idee e contraddizioni, plurale nelle motivazioni, nell’approccio creativo e nelle forme è specchio della peculiarità della soggettività femminile. Da domani ci si augura che continui a far rumore, a fianco alle battaglie studentesche e operaie dei mesi scorsi, non con il limitato obiettivo di mandare a casa Berlusconi, ma di combattere il berlusconismo e i suoi inaccettabili modelli.
Tra gli interventi che hanno animato la piazza romana, particolarmente intense e applaudite sono state le parole di Susanna Camusso, Stefano Ciccone e Alessandra Bocchetti.
La segretaria generale della Cgil, ha dedicato a tutte e tutti i suoi “vorrei”: per un paese che sappia “che le giovani donne, i loro progetti, la loro creatività, la capacità di innovazione sono il futuro. Senza di loro il paese arretra e arretra anche il presente”, “che quando si dice sesso si parlasse di una relazione tra pari e non di un incarico politico” e “che libertà, democrazia, sesso, donna, giustizia, futuro, fossero di nuovo parole sane, con il loro significato e fossero ogni giorno la nostra bussola.”
Stefano Ciccone, tra i fondatori del gruppo “Maschile plurale”, che da anni riflette sui ruoli di genere e sui modelli sessuali maschili, ha invece sottolineato che una piazza come quella di ieri chiama in causa gli uomini nella costruzione di un percorso collettivo che ponga al centro la libertà, di tutti gli uomini e di tutte le donne secondo un concetto di politica che significa cambiare la qualità della vita e delle relazioni nella vita di tutti i giorni, a partire dalla famiglia, luogo di tante violenze contro le donne. “A chi mi strizza l’occhio, chiedendomi complicità come maschio, e mi chiede di tenermi stretto il potere perchè il potere mi serve, tra l’altro, a garantirmi la disponibilità femminile, rispondo che al potere preferisco la libertà. Preferisco incontrare la libertà delle donne alla loro disponibilità.”
Alessandra Bocchetti, fondatrice dell’Università delle Donne di Roma Virginia Woolf, femminista storica, ha salutato la piazza con un “Bentornate” e invitato tutte e tutti, in questo disastro, a non confondere la farsa con la vera indecenza, come già aveva fatto un documento di AteneinRivolta girato in rete nei giorni scorsi, che è quella delle scelte economiche di governi di destra e sinistra che impongono tagli laddove un paese civile dovrebbe investire: scuola, assistenza, ricerca, politiche di sostegno alla famiglia, politiche di conciliazione. Scelte economiche che hanno reso le donne “ funambule, equilibriste, velociste, sante che fanno miracoli”. L’urgenza è, a suo parere, quella di costruire un equilibrio di rappresentanza vero, perchè una società di uomini e di donne non può essere governata da soli uomini o da tanti uomini e poche donne al seguito. E se in questa società nulla sembra a misura di donna, nell’organizzazione, nei criteri, nelle forme e nei tempi, è forse anche responsabilità delle donne, per esser state troppo ubbidienti. “L’equivoco è stato l’idea stessa di uguaglianza”, ha poi spiegato la Bocchetti, “uguali non siamo, siamo differenti, per corpo, esperienza, storia e nessun uomo può rappresentare una donna.”
Ma più che le parole a parlare sono stati proprio i corpi. Tanti, vicini, parlanti nel loro essere presenti. I visi si sorridevano l’un l’altro, scambiandosi un commento, un abbraccio o più semplicemente uno sguardo complice.
Il momento forse più emozionante, è però stato quello dedicato alla lettura delle lettere e delle mail ricevute da donne di tutta Italia. Storie quotidiane, che raccontano la materialità della vita delle donne e i loro problemi più veri: precariato e lavoro, maternità, violenza sessuale, aborto, lavoro domestico, disoccupazione. “Sarò in piazza perchè so cosa vuol dire essere toccata da un uomo che potrebbe essere tuo nonno”; “aderisco perchè faccio tre lavori diversi nell’arco della giornata e non ce la faccio più”; “sono un’infermiera di trentanove anni, sono appena rimasta incinta, ma sul lavoro non posso dirlo, se no mi licenziano”. Storie simili alle nostre, che non hanno bisogno di parole complicate per raccontare la loro drammaticità. E impongono, forse più delle altre, che da domani si continui a costruire.
Il pomeriggio a Roma si è concluso con il saluto di Francesca Izzo, che da appuntamento all’8 marzo: “Da questa piazza non si torna indietro. Ci impegnamo a costruire gli stati generali delle donne italiane.” E poi sulle note di Patti Smith e “People have the power” e di tanta altra musica, la folla si è sciolta in un ballo liberatorio.
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