«Se mi fa questa domanda, allora vuol dire che lei non ha capito una beata mazza». La richiesta di delucidazioni sulla scelta di chiedere il referendum per confermare il taglio dei parlamentari non inizia nel modo migliore. Eppure, a microfoni spenti e giù dalle corde da equilibristi, non sono pochi quelli che, tra i cinquestelle, ammettono di essere rimasti stupiti dal vedere il nome di Mario Giarrusso tra i 64 senatori che hanno scelto di convocare il popolo per mettere il sigillo sulla riforma costituzionale approvata, nei mesi scorsi, dal parlamento. Una misura anti-sprechi e anti-casta che proprio il Movimento 5 stelle ha rivendicato come una propria vittoria – con tanto di foto di gruppo dietro lo striscione Meno 345 parlamentari, un miliardo di euro per i cittadini – e che invece adesso, a meno di ripensamenti da qui al giorno in cui le firme dovranno essere depositate, dovrà attendere il verdetto delle urne. Senza lo spauracchio del quorum, trattandosi di referendum confermativo.
«La più importante riforma costituzionale mai approvata in questo Paese deve essere rafforzata dal voto dei cittadini. Abbiamo l’occasione di esercitare la democrazia diretta che è sempre stata una nostra battaglia o dobbiamo rinunciare anche a questo?», commenta Giarrusso, con il tono accalorato di chi ritiene di essere additato senza motivo. Per i non detti, peraltro, c’è poco spazio. «Sono stati fatti articoli vergognosi per chi legittimamente ha chiesto ciò che è previsto dalla Costituzione. Poltronisti? Ma stiamo scherzando? Scrivere queste cose è irrispettoso della democrazia». La posizione del senatore catanese, che a palazzo Madama ha votato a favore della riforma, è chiara: il taglio dei parlamentari è bell’e buono così com’è, ma un passaggio dai seggi non potrà che fargli bene. «Chi attacca questo referendum commette una stupidaggine, perché non si accorge che una diversa maggioranza parlamentare, anche a ranghi ridotti, ma comunque forte, potrebbe facilmente mettere mano a una controriforma e fare tornare tutto a com’era prima – va avanti Giarrusso -. Le cose, invece, cambiano se a esprimersi sul taglio saranno gli italiani».
A guardarsi attorno, però, non si direbbe che il ragionamento del senatore sia sposato con altrettanta partecipazione dai colleghi di partito. «Ma abbiamo presente quanto costa organizzare un referendum? Forse non era il caso di sobbarcare gli italiani anche di questa spesa», commenta un pentastellato di lungo corso. C’è poi chi ha seguito l’intera vicenda a debita distanza: dall’esaltazione del taglio all’invocazione del voto popolare. «Con questa riforma si risparmierebbero cento milioni l’anno che sembrano una grande cifra, ma che in realtà sono un’inezia all’interno di una manovra. Basti pensare – fa notare un altro parlamentare – che ci siamo dovuti giocare la carta del miliardo in dieci anni. Tanto valeva dire dieci miliardi in un secolo». Chi ha la possibilità di sentire il polso dei vertici del Movimento assicura che, tutto sommato, la scelta è quella di fare di necessità virtù. «La campagna referendaria sarà una nuova opportunità per riallacciare i rapporti con la base. La firma di Giarrusso ci riporterà a montare i banchetti e lì abbiamo sempre fatto bene», è il messaggio che si vuole veicolare.
Bicchieri mezzi pieni a parte, che la decisione di Giarrusso – condivisa anche da altri due senatori pentastellati – abbia creato imbarazzi nel quartier generale del Movimento sembra qualcosa in più di un’ipotesi. Se l’eurodeputato Dino Giarrusso, pur dichiarando di non voler entrare nel merito della scelta, tiene a specificare che «ad avere firmato è il mio omonimo Mario Michele Giarrusso che è senatore, io sono parlamentare europeo e mi chiamo Dino» e l’altro siciliano a Bruxelles, Ignazio Corrao, rilancia l’opportunità di fare «tour tematici in cui spieghiamo ai cittadini le cose» così da combattere «il sistema che ci vuole sardine», è stato il capo politico Luigi Di Maio a mascherare meno bene l’allungamento dei tempi per vedere entrare in funzione il taglio. «Da metà gennaio del nuovo anno sarebbe entrato in vigore. L’Italia, dopo decenni di tentativi non concretizzatisi, sarebbe finalmente riuscita a ridurre il suo enorme numero di parlamentari. Ho usato il condizionale perché 64 parlamentari – ha scritto il ministro su Facebook, senza soffermarsi sul contributo dato dai grillini – hanno firmato per indire un referendum confermativo e quindi tutto, inevitabilmente, slitterà ancora di qualche mese. Non è un problema, sono sicuro che i cittadini sapranno scegliere nel migliore dei modi, ogni referendum per noi è sacro. Ma vorrei anche dire ai 64 firmatari che forse potevano andare in piazza a raccogliere le 500mila firme che servono per la richiesta del referendum, fare dei banchetti, insomma coinvolgere le persone veramente. Ma dubito che le avrebbero raccolte».
Parole, quelle di Di Maio, che sembrano concordare con il pensiero di Giarrusso soltanto per quanto riguarda la sacralità della consultazione popolare. «Ma lei ci pensa se rinunciavamo al referendum? Ci avrebbero detto che venivamo meno al nostro credo nella democrazia diretta», è la replica a distanza del senatore etneo. Che poi alla domanda sul perché siano stati soltanto tre i parlamentari cinquestelle a firmare, risponde secco: «Avevano paura di finire nel calderone mediatico». Giarrusso, infine, rimanda alle malelingue qualsiasi voce di abboccamenti con altri partiti (leggasi Lega) e assicura di lavorare solo nell’interesse di completare al meglio la seconda, e ultima – stando alle regole del M5s – esperienza parlamentare. «Ho già fatto un servizio per il mio Paese che ha avuto un costo importante. Cosa farò dopo? Quello che facevo prima, l’attivista e l’avvocato. Il problema sono i ragazzini che hanno assaporato il gusto del potere. Sono loro che si chiedono cosa faranno nei prossimi quarant’anni». Gli strali, stavolta, non hanno un destinatario dichiarato. Anche se gli indizi non mancano: giovane cinquestelle con tanto potere in mano.
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