«La situazione nazionale è disastrosa e, pertanto, bisogna essere molto cauti nel lanciare messaggi di proteste, di occupazione, perché alla fine dobbiamo sempre tenere in conto l’interesse dello studente, che non è quello di perdere mesi di studio ma è quello di andare avanti fino alla laurea». Queste le parole del rettore Antonino Recca ai microfoni di Radio Zammù.
La puntata di Radio Ateneo di giovedì scorso, condotta da Michele Spalletta, ha avuto come filo conduttore le varie proteste e manifestazioni di dissenso nei confronti della legge “Gelmini”, ovvero il decreto legge 133. Il professor Recca non ha dubbi: «E’ tutto molto chiaro: che i rettori facciano i rettori, i presidi facciano i presidi, i sindacalisti facciano i sindacalisti, i professori eventualmente si auto-organizzino e procedano alle proteste, ma sempre in un clima di equilibrio perché dobbiamo anche pensare che ci sono lavoratori, soprattutto in Sicilia, soprattutto a Catania, che stanno perdendo il loro posto di lavoro. Dobbiamo pensare anche a loro, e non dare un segnale all’esterno di un’università che si arrocca, che vuole difendere i privilegi, il baronato, il nepotismo e questa capacità di spese, di convegni, di mostre continue che portano appunto a delle spese che non sono vigilate».
Tornare al “patto Mussi”, secondo il Rettore, sarebbe la scelta migliore da fare in questo momento: maggiore rigore ma anche maggiori risorse alle università virtuose: «Da un lato maggiori risorse, dall’altro maggiori capacità di autocritica e, quindi, di richiesta di valutazione e di risorse date alle università e alle facoltà che sono più virtuose».
I tagli all’istruzione pubblica gettano non poche ombre sul futuro e Santo Signorelli, docente della facoltà di Medicina (appartenente al Sindacato della docenza e segretario nazionale della CISL Università) afferma che ciò a cui si sta assistendo è una vera e propria mortificazione della scuola e dell’Università pubblica «attraverso un meccanismo in una certa misura surrettizio, cioè quello di un intervento sulla parte economica. La preoccupazione è talmente significativa nel mondo della formazione che noi abbiamo già indetto una manifestazione di sciopero il 14 novembre a Roma».
Proteste e mobilitazioni che attraversano tutto lo Stivale e che vedrà Catania in azione giorno 24 ottobre alla facoltà di Lingue e letterature straniere. Il preside Nunzio Famoso è categorico: ad essere in discussione è un agire politico «che non condividiamo e per il quale noi abbiamo il dovere, da intellettuali, di muoverci e fare la nostra parte. Bisogna protestare in maniera ferma: da una parte abbiamo interventi continui che vanno allo smantellamento dell’istruzione pubblica, dall’altro non abbiamo uno straccio di linea riformista».
Per il professore Antonio Pioletti, docente di Filologia romanza della facoltà di Lingue, la logica per poter comprendere i reali effetti che questa legge avrà nel mondo dell’istruzione pubblica deve essere vista all’incontrario, ovvero non bisogna partire da una motivazione finanziaria. «Bisogna capovolgere il ragionamento: la crisi economica c’è, e quindi si operano dei tagli. Questi tagli, però, ci sono soprattutto perché c’è un certo modello di scuola e di università in Italia: si vuole attaccare la scuola pubblica, ridimensionarla». La crisi, continua Pioletti, c’è in tutto il mondo e per questo non può essere utilizzata come la motivazione alla base della riduzione dei fondi, poiché l’Italia è il fanalino di coda per quel che riguarda il PIL dato alla ricerca e alla formazione. «La situazione è di una gravità inaudita e richiede una risposta adeguata. Noi siamo contro ogni forma di spreco, di privilegio, di nepotismo e tutto il resto. Non possiamo accettare la logica dei tagli, mettiamo in discussione in modo radicale il modello di scuola e di università che Berlusconi, Tremonti e la Gelmini stanno portando avanti».
L’istruzione regolata da aspetti economici – seguendo il modello americano – non porta a dei miglioramenti, secondo il professore Signorelli. Antonio Pioletti critica la troppa prudenza usata, finora, da parte della Conferenza dei rettori (Crui) e il preside Famoso afferma che il decreto è imperniato di ambiguità di significato: «Si intravede un disegno di forte ridimensionamento del settore dell’istruzione pubblica, ma il progetto esce fuori ambiguo». «Il disegno» ribatte il professore Pioletti «è chiaro: dare i Fondi Ordinari per l’Università in mano alle fondazioni private».
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