Sulla scorta del coraggio

Roberto Saviano e Al Gore erano ospiti del Festival, a Perugia. In comune, avevano la scorta.
Saviano passeggiava per la strada e se non fosse stato per gli uomini con gli occhiali da sole che lo circondavano, forse nessuno si sarebbe accorto che era lui. Si intravedeva il suo viso, tra quelli di chi lo protegge. Si sentiva la gente esclamare: «Guarda, Saviano!».
Al Gore è arrivato guidando una Mini Cooper. Dietro la sua, c’era un corteo di automobili. Lo aspettavano tutti, giornalisti, fotografi e curiosi. È sceso dalla macchina, ha salutato tutti ed è sparito all’interno dell’albergo.

L’incontro coi due era previsto per le 21 di sabato sera, e dalle 16 del pomeriggio centinaia di persone facevano la fila davanti all’ingresso. Come un concerto rock: a guardarli dal basso, erano solo migliaia di gambe. Migliaia di giovani gambe. Qualcuno avrebbe detto che erano un milione.
C’era chi ordinava una pizza, chi beveva una birra, chi leggeva un libro, e c’era anche chi tentava di aprire una bottiglia di vino con un mazzo di chiavi ed una penna, senza riuscirci, il tutto sotto lo sguardo indiscreto delle telecamere dei giornalisti. C’erano anche le unità cinofile e le forze dell’ordine, ma quelle, con Saviano ed Al Gore, forse erano scontate.
Quando sono state aperte le porte del teatro, in poco più di mezz’ora tutte le poltrone erano occupate, in platea e sui vari ordini di palchi. Fuori, le gambe escluse si accontentavano di un maxischermo montato nel pomeriggio.

Maria Latella, direttrice del giornale “A” e conduttrice per Sky, dopo una breve presentazione, ha chiamato sul palco lo scrittore e giornalista napoletano. Le gambe sono diventate mani, migliaia di mani che sbattevano l’una contro l’altra per diversi minuti, che applaudivano ed incitavano un Roberto Saviano sorridente ed emozionato. Ringraziava, lui. E gli spettatori facevano altrettanto, in direzione opposta. Quand’è stata l’ultima volta che in Italia ci s’è sentiti così orgogliosi di un libro? Un premio Nobel per la Pace avrebbe mai immaginato di riscuotere meno consensi di un giornalista? Campano, per di più.

«È difficilissimo passare dal buio alla luce e quindi devo recuperare il fiato», dice con un filo di voce Saviano. Ritrova la forza di parlare e da quel momento nel teatro è silenzio. Fa quello che sa fare meglio, raccontare storie. Parla per qualche minuto e poi si accomoda dietro le quinte. È il momento dell’ingresso di Al Gore. Di nuovo tantissime mani che applaudono. A lungo parla di informazione, in Italia e in America. Presenta l’ambizioso progetto di Current tv, e ribadisce più volte che «Current è pronta a raccontare ciò che altri non vogliono dire. Noi siamo liberi e a vostra disposizione, vogliamo che arrivino i vostri contributi».

Rientra Saviano. Il premio Nobel e il giornalista si siedono sulle poltrone sul palco. In mezzo Maria Latella ad intervistarli. Saviano non sarà il leader della sinistra, non farà il politico. Al Gore prova a convincerlo: «Ho fatto il giornalista per sette anni, tu potresti prestarti alla politica!». Tra il pubblico gli occhi si moltiplicano, decine e decine di fotocamere e macchine fotografiche registrano l’evento. I flash sono lampi nella sala. I due parlano per un paio d’ore, il pubblico non perde occasione di far sentire il suo apprezzamento. Poi arriva il momento dei saluti. Al Gore scompare accompagnato dalla sua scorta. Quella di Saviano avanza e accompagna lo scrittore sul bordo del palco, firmerà autografi. In quel momento le migliaia di mani reggono copie su copie di “Gomorra”. La fila è lunga ma Saviano accontenta tutti, si presta alle foto e agli autografi. Ogni tanto, si stropiccia gli occhi. Comprensibilmente, è stanco. Stanco fisicamente, e stanco di non poter nemmeno mangiare un gelato senza che si dica che se la spassa.

Siamo andati a stringergli la mano e a dirgli soltanto alcune parole: «Grazie di tutto, e grazie anche alla tua scorta, perché se puoi fare quello che fai lo dobbiamo anche a loro». Poi siamo andati a spassarcela. Siamo andati a mangiare un gelato. Noi possiamo.

Luisa Santangelo

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