Su Scienze della Comunicazione interviene Ortoleva

Sui corsi di Scienze della Comunicazione Peppino Ortoleva, ordinario di ‘Storia dei media’ a Torino, non usa mezzi termini. Già qualche mese fa Ortoleva, intervenendo sul caso catanese dichiarava che“all’interno di una querelle generale sui corsi di comunicazione, che si sono diffusi come funghi ma, in molti casi, con un quadro di materie che è talmente variabile da una città all’altra che sembra più rispondere alle esigenze di piazzamento dei docenti di lettere o di altre facoltà che non a esigenze di un corso organico, a quanto ne so, a Catania il problema è un problema particolarmente grave”.

Ma la situazione a livello nazionale non è certo di quelle rosee per la classe 14 e il professore non fa sconti.

 

Professore Ortoleva, cos’è successo?

“All’inizio i corsi di comunicazione in Italia erano quattro e dovevano crescere secondo un piano, poi sono sconfinati e c’è stata una moltiplicazione selvaggia. L’autonomia è stata interpretata nel senso peggiore e ognuno ha fatto quello che voleva. In più in sono pochi i giovani che vanno a studiare fuori, alla ricerca di una facoltà qualificata, e preferiscono andare a studiare sotto casa. Per questo non c’è concorrenza, ma oligopolio e gli atenei vengono riempiti da docenti dequalificati. Le facoltà, soprattutto quelle di Lettere, cercano con scienze della comunicazione una risposta alla crisi. Ma spesso sono corsi di lettere camuffati anche perché il numero dei docenti capaci di insegnare materie di comunicazione non è enorme”.

 

Infatti molte facoltà adottano dei professionisti del settore…

“Questa storia dei professionisti dobbiamo assolutamente lasciarla stare. I professionisti sono importanti, ma non è vero che l’incarico della comunicazione ce l’abbiano solo loro. Questa è una balla inventata in questi anni, che ha portato ad un fenomeno allucinante di degrado per cui sostanzialmente tutte le materie importanti, come la televisione e altre, vengono affidate al televisivo locale. Non è vero che le materie legate ai media possano essere insegnate solo dai professionisti. Queste materie devono essere insegnate dagli studiosi dei mezzi di comunicazione, che ci sono. Così si rischia di riempire le cattedre che contano delle varie Facoltà con i loro allievi, che non sanno niente. Questa è la situazione che sta succedendo. I professionisti possono avere un ruolo importantissimo di aiuto, ma ci sono fior di studiosi di provenienza varia, storica, sociologica e altro che sanno di comunicazione. Una delle regole fondamentali dovrebbe essere privilegiare questi studiosi. Impedire che le comunicazioni siano insegnate solo da professionisti di passaggio, oppure solo ad esempio da sociologi che non trovano altre cattedre ma che non sanno di comunicazione. Questo non è un problema di Catania, ma nazionale. Sono stati creati questi corsi e le corporazioni di sociologi, semiologi eccetera hanno fatto quadrato dicendo ‘ce ne occupiamo noi’.

 

In molti casi il professionista che oltre le nozioni teoriche introduce anche la sua esperienza pratica è visto come fattore importante, soprattutto nella triennale che, di per sé, dovrebbe comunque permettere l’inserimento nel mondo del lavoro.

“Non ho nessun problema verso il fatto che il professionista insegni comunicazione, purchè sia chiaro che si tratti di un corso universitario, non dell’equivalente universitario della scuola o del corso sotto casa. Ci vuole una formazione di base solida e questo significa che fare la triennale con il televisivo che porta a fare il giro negli studi è dequalificante. Questa è una cazzata dequalificante. Se noi abbiamo dieci professori di latino e di comunicazione solo docenti a contratto, questo è lo scherzo finale”.

 

Cosa vuole dire?

“Che questo è quello che interessa: quanti posti ci sono e a chi devono andare. Se si partisse dalle esigenze della struttura universitaria e degli studenti, il discorso sarebbe diverso: quali sono le discipline che servono alla formazione dei comunicatori. Queste discipline devono essere fornite a livello universitario. Se il collega vuole sistemarsi, si prepari”.

Michele Spalletta

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