«Voglio fare qualcosa di concreto contro questa pesante aria di mafia». E Antonio Barbagallo, famoso writer catanese con il nome d’arte di “Anc”, ha creato un murale enorme dedicato alla strage di Capaci. Presentato il 9 luglio al Monastero dei Benedettini, è stato realizzato grazie all’impegno dell’associazione Addiopizzo, che con l’iniziativa “un muro contro la mafia” ha raccolto i fondi necessari. C’è una grande scritta, “per non dimenticare”, che campeggia a destra dell’enerome parete, insieme alla data, 23 maggio 1992, e ai nomi delle cinque vittime. Al centro, enormi, i volti di Giovanni Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo, unico giudice donna vittima della mafia. Rispetto al 26 maggio, quando il murale subì un grave atto vandalico, oggi il volto di Falcone appare sereno come lo abbiamo sempre visto in foto ed in tv. Forse anche perché ora alla sua destra ci sono i suoi agenti di scorta. Sono rappresentati in piedi, il giudice con i suoi tre “angeli custodi” che lo hanno seguito fino alla morte. Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo.
Presenti, nell’aula A2 del Monastero, oltre al presidente di Addiopizzo, all’autore del murale Antonio Barbagallo, Giovanni Sammarco, fratello del caposcorta di Falcone salvatosi dall’attentanto perché in malattia, e Rosalba Terrasi Dicillo, che se non fosse per dei ciuffi di capelli bianchi portati orgogliosamente sembrerebbe una ragazza ventenne, una delle tante volontarie di Addiopizzo. Ma lei, 19 anni fa, si ritrovò da ragazza a essere la vedova di un eroe morto in servizio, Rocco Dicillo. Le sue parole oggi sono quelle di chi è abituata a rilasciare dichiarazioni alla stampa: «Sono qui per portare la mia testimonianza, per non far cadere quel che è successo nell’oblio, per dire a coloro che verranno dopo di noi che abbiamo costantemente portato avanti la lotta contro quelli che ci fanno violenza come cittadini ogni giorno. Sono qua per essere parte integrante di questo muro, come se facessi parte del disegno accanto a loro». Ma messa da parte la videocamera, parla a lungo con i ragazzi presenti. «Quando è successo ero una ragazza, non capivo molte cose del mondo, non capivo il senso della morte di mio marito. Avevo una rabbia enorme dentro, che solo con il passare del tempo è diminuita. Oggi la mafia ha cambiato sistemi, agisce con meno enfasi, e tocca a voi mantenere viva l’attenzione».
Brevi interventi nel corso dell’incontro sono stati fatti anche da rappresentanti delle istituzioni. Tra questi il nuovo Questore di Catania Antonio Cufalo che sottolinea come «la situazione dell’anti-racket sia notevolmente migliorata». Riguardo al murale, ritiene che non sia solo un simbolo «le opere come questa, fatte dai giovani, sono sostanziali, ci danno speranza per l’affermazione della legalità». Il vicesindaco Luigi Arcidiacono parla invece di “graffi”, quelli che gli autori dell’atto vandalico hanno fatto, ma per fortuna solo superficialmente «sarei contento se invece un graffio, un segno lo potesse lasciare quest’opera sulla città». Il procuratore capo Michelangelo Patané ripercorre invece le “tappe” delle indagini sulla strage di Capaci (entrando peraltro in un argomento piuttosto scomodo quando tesse le lodi alla procura di Caltanissetta in particolare per «l’ottimo lavoro del procuratore generale Tinebra quando era lì»), e parlando della lotta alla mafia come espressione di “sicilianità” «tutte le vittime della lotta alla mafia sono quasi sempre state siciliane».
“Ci sarà presto un altro murale?”, chiediamo infine ad Antonio Barbagallo. «Qualcosa in programma c’è, ma non posso dire ancora nulla» risponde, con il suo solito sorriso. Del resto l’associazione antiracket ha appena compiuto 5 anni: come regalo arriva l’inaugurazione tormentata di quest’opera, una soddisfazione ancora da “assaporare”. “Anc” sembra molto orgoglioso «abbiamo dimostrato ai catanesi come si possa portare a termine qualcosa senza cedere alla difficoltà».
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