«Bill Gates non compra l’hotel San Domenico di Taormina? Peccato». Risponde con una battuta Nico Torrisi, presidente di Federalberghi Sicilia, alla falsa notizia circolata in questi giorni su diversi mezzi di informazione nazionali e locali. O meglio, una notizia che non lo è: a fine 2021 il magnate americano ha solo rilevato la maggioranza dell’azienda canadese Four Seasons che gestiva già la struttura dalla scorsa estate e che rimane di proprietà del gruppo Statuto. Gestione a cui potrebbe adesso aggiungersi un altro storico hotel di lusso italiano: il Danieli di Venezia, al momento gestito da un altro marchio straniero, il Mariott. Nulla di davvero nuovo sotto il sole, insomma, ma che ha scatenato una levata di scudi della politica nazionale – e di gran parte del pubblico – contro una presunta colonizzazione straniera. Ed è qui, nella difficoltà italiana di immaginare proprietari di hotel che però non li gestiscono, che il mai esistito acquisto di Bill Gates diventa uno spunto interessante per ragionare sul turismo, spostando il focus dalla domanda – scarsissima in tempo di Covid – all’offerta.
Un settore in cui «la presenza di gruppi stranieri, in Italia, è bassissima – spiega a MeridioNews Ornella Laneri, presidente di Confindustria turismo Catania – Intorno al 6-7 per cento». Il resto sono per lo più piccole e medie strutture a gestione familiare, come sull’Isola. Una composizione che rispecchia il tipo di turismo accolto finora in Sicilia: non di lusso, con rarissime eccezioni dovute proprio all’interesse e al punto di vista di investitori stranieri che parlano ad altri danarosi stranieri in vacanza. Come il San Domenico e Taormina tutta. E come invece non succede nella vicina Catania, dove pure questi visitatori atterrano. «Va bene volersi tenere i gioielli di famiglia, ma come? – commenta Laneri – Sarebbe stato meglio se il San Domenico o il Danieli fossero diventati un alberghetto, purché italiano? Quando qualcosa non funziona, va cambiato, pur rispettandone le caratteristiche». Che, nel caso specifico, sono strutture ricche di storia – come le celle dell’ex convento San Domenico o la scala dell’hotel Danieli – con una clientela di lusso, per lo più straniera. «Una clientela che cerca un certo tipo di qualità che deve essere la benvenuta – continua la presidente – perché serve anche ad alzare la qualità generale della domanda». E per rendere chic un territorio piuttosto che un altro. «L’arrivo di marchi stranieri non significa che stiamo perdendo l’attenzione per le nostre bellezze – conclude Laneri – ma anzi questo darà loro più risalto e le renderà più appetibili a livello internazionale».
Un modo, se esteso ad altri territori, per «creare una domanda internazionale anche a chi non ce l’ha». È così che si spiega la battuta di Nico Torrisi, presidente di Federalberghi Sicilia. Che ricorda come sia stato proprio l’arrivo di un altro grande gruppo straniero a Taormina – il Belmond che gestisce l’altra perla della zona, l’hotel Timeo – a fare diventare la cittadina una meta del grande turismo straniero di lusso. Americani, russi, giapponesi: clientele con gusti ed esigenze particolari, per i quali anche il tipo di tv a pagamento e l’intrattenimento proposti possono fare la differenza tra una struttura e un’altra. «Per questo oggi, rispetto al passato, esistono tanti brand: per tagliare il mercato in altrettanti segmenti – continua il presidente – Ma in Sicilia la maggior parte di questi marchi non c’è e, quando è presente, lo è per lo più in franchising». Per un’offerta dall’economico al lusso, con varie sfumature in mezzo e quella che sembra ormai essere una categoria a sé: gli hotel per stranieri. «Il problema non sono gli investitori esteri ma, semmai, gli speculatori. Come se ne stanno vedendo molti, troppi, durante questa crisi del turismo dovuta al Covid – conclude Torrisi – Decine di alberghi svenduti a poco prezzo o messi all’asta a seguito di fallimento, anche con proposte di soggetti equivoci con fondi non meglio precisati. Decisamente meglio Bill Gates, insomma».
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