Una mossa inaspettata è stata fatta nel processo d’Appello per la violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne statunitense dai tre giovani imputati che hanno rinunciato al motivo sull’assoluzione. Roberto Mirabella, Salvatore Castrogiovanni e Agatino Valentino Spampinato, dopo la comunicazione fatta da parte dei loro legali, l’hanno ripetuta uno per volta con la loro voce parlando al microfono davanti alla corte. Una formula con cui, in pratica, hanno rinunciato a chiedere di essere assolti. «Si è trattato di una scelta strategica difensiva – spiega a MeridioNews l’avvocata Monica Catalano che difende Spampinato». Mentre per la legale che assiste la vittima, Mirella Viscuso «è una mossa che ha il significato indiretto di una parziale ammissione di responsabilità». Adesso a valutare sarà il giudice. Intanto, dopo la sua requisitoria, il pubblico ministero ha chiesto cinque anni di condanna per Mirabella e Castrogiovanni e due mesi in più per Spampinato. Quest’ultimo, infatti, oltre che dello stupro di gruppo avvenuto in piazza Europa nella zona del Porto Rossi, è ritenuto responsabile anche di una seconda violenza sessuale, avvenuta nell’androne della palazzina dove la vittima era ospite come ragazza alla pari da una famiglia catanese.
Resta, invece, la richiesta di tenere conto delle attenuanti generiche. In primo grado, la pm Valentina Botti aveva chiesto da otto a nove anni e quattro mesi per gli imputati che poi erano stati condannati con un processo con il rito abbreviato a sette anni e due mesi e sette anni e quattro mesi. «Rinunciare al motivo dell’assoluzione – aggiunge l’avvocata Catalano al nostro giornale – non è un’ammissione di responsabilità ma una strategia per agevolare gli imputati, per evitare di aggravare la situazione. Sono dei bravi ragazzi, vogliamo che dimentichino quanto accaduto e che non si continui a parlare di loro, quindi – precisa – mettere un punto e chiudere la vicenda il prima possibile». Dal momento dei fatti – la notte tra il 15 e il 16 marzo del 2019 – i tre sono stati prima detenuti in carcere e adesso sono agli arresti domiciliari. «Sono stati tre anni in cui hanno fatto un percorso e compreso sicuramente la leggerezza con cui hanno agito – assicura l’avvocata Catalano – Questo comunque non è un passo indietro ma un modo per andare incontro alle esigenze delle loro vite».
In questi tre anni, la vittima è tornata negli Stati Uniti dove «sta provando a riprendere in mano la propria vita – aveva spiega la legale che la assiste al nostro giornale – partendo dal rimarginare una profonda ferita». Inferta in quella che la ragazza, oggi 22enne, ha descritto come la notte peggiore di tutta la sua vita. Per lei, che aveva già subito in passato altre violenze, i legali della difesa avevano chiesto una perizia psichiatrica ipotizzando un disturbo di personalità borderline. Un’istanza che era già stata rigettata dal gup. Durante l’incidente probatorio, durato dieci ore in videoconferenza dagli Usa, la ragazza aveva raccontato quanto accaduto. Una ricostruzione ritenuta attendibile e che ha avuto come prove un video, due audio e decine di richieste di aiuto. File in cui si sente piangere la vittima; un video girato in auto in cui si vede la giovane che cerca di spingere con la mano il ragazzo sopra di lei mentre pronuncia la frase «non voglio». Parole però che, secondo il collegio difensivo, sarebbero da riferire non al rapporto che sarebbe «nato con consenso», ma al filmato. Per loro la ragazza non si sarebbe opposta ma avrebbe agito in modo strumentale per avere una prova da usare. Così, sono state interpretate dai difensori anche le undici chiamate al 112 e al 911 (il numero unico per le emergenze negli Usa) e i messaggi inviati alle uniche due persone conosciute a Catania, dove la ragazza era venuta a vivere da circa un mese.
Tesi smentita nelle motivazioni della condanna di primo grado dove il giudice ha sottolineato un atteggiamento tutt’altro che consenziente della vittima «tirata per i capelli che emette gemiti, incomprensibilmente interpretati dalla difesa come “di piacere” ma all’evidenza di sofferenza soffocata dalla condizione nella quale si trovava: braccata dal branco dentro l’abitacolo dell’auto, incapace di opporre resistenza alle azioni estremamente invasive della propria sfera sessuale che stava subendo». Tutto questo mentre i tre imputati erano intenti a «ridere e godere della sopraffazione sessuale completamente indifferenti alle reazioni, allo stato d’animo e al volere della vittima trattata senza alcun rispetto dai tre preoccupati soltanto di non sporcare la macchina con il liquido seminale e di immortalare la scena». Per la prossima udienza è prevista la discussione delle parti civili. «Questa rinuncia ai motivi dell’assoluzione – conclude l’avvocata Viscuso – conferma quanto sempre dichiarato dalla mia assistita, ovvero di avere subito uno stupro e di non avere mai prestato il consenso».
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