È stato affidato alla legale
Agata Barbagallo dell’avvocatura comunale l’incarico per la costituzione di parte civile del Comune di Catania per lo stupro di piazza Europa. Cioè la violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza 19enne statunitense per cui sono stati rinviati a giudizio Roberto Mirabella, Salvatore Castrogiovanni e Agatino Valentino Spampinato. Per quest’ultimo, la posizione si è aggravata: a lui viene contestato di avere abusato una seconda volta della ragazza. Con la scusa di riaccompagnarla a casa, l’avrebbe violentata anche nell’androne dell’abitazione dove abitava con la famiglia per cui lavorava come baby sitter.
«E ciò in quanto – si legge nel documento pubblicato sul sito dell’ente comunale etneo –
gli abusi sessuali e la violenza sulle donne “ledono non solo la libertà morale e l’integrità fisica della donna, ma anche il concreto interesse del Comune di preservare il territorio da tali deteriori fenomeni avendo lo stesso posto la tutela di quel bene giuridico come proprio obiettivo primario“». È questa la motivazione riportata nella determina che cita anche un pronunciamento della Cassazione. Nel documento pubblicato nell’albo pretorio i nomi degli indagati sono sostituiti con una serie di X ma la descrizione non lascia dubbi sul fatto che si tratti degli abusi avvenuti la notte tra il 15 e il 16 marzo 2019 in piazza Europa.
Con un delibera dell’ottobre del 2014 il Comune aveva previsto, con un atto di indirizzo, la
possibilità di costituirsi parte civile nei «procedimenti penali per femminicidio e atti di violenza nei confronti delle donne e dei minori». La direttrice degli Affari legali dell’ente Daniela Macrì ha, inoltre, citato una decisione della terza sezione penale della Cassazione del 2008 che ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile di un Comune in un procedimento per violenza sessuale.
«Per la prevenzione e la repressione delle violazioni delle norme poste a tutela della libertà di determinazione della donna è configurabile in capo al Comune (che, rispetto al territorio in cui il fatto è commesso, ha una
stabile relazione funzionale e ha inserito tale tutela tra i propri scopi primari e autonomi) la titolarità di un diritto soggettivo e di un danno risarcibile – si legge nel documento riportato nell’albo pretorio del Comune – individuabile in ogni lesione del diritto stesso, sicché esso è legittimato alla costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni morali e materiali relativi all’offesa diretta e immediata dello scopo sociale».
L’
udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 28 febbraio. Intanto, tutti e tre gli indagati restano detenuti in tre carceri diverse. «No, non voglio, per favore», è una delle frasi che la 19enne avrebbe rivolto più volte ai ragazzi mentre si trovava in macchina. Scampoli di conversazioni registrati con il cellulare. Durante l’interrogatorio, due dei tre hanno confermato di avere sentito la frase pronunciata dalla ragazza all’inizio dei rapporti sessuali ma hanno riferito che dopo non avrebbe detto più nulla. Cosa che avrebbero interpretato come un segnale di consenso. Tutti hanno, infatti, affermato che «ci stava… Era tranquilla».
Ricostruzione che, però, non collima con le
dieci chiamate che la ragazza ha fatto al 112, con il tentativo di contatto con il 911 (numero unico di emergenze negli Usa) e nemmeno con i diversi messaggi audio con richieste di aiuto e la localizzazione gps inviata, invano, a un amico. Da un video, girato da uno dei ragazzi in macchina – e poi inviato alla giovane che lo ha fornito alle forze dell’ordine – si vedrebbero due degli indagati «nell’atto di abusare della vittima e si percepiscono i lamenti della giovane, che è saldamente trattenuta per i capelli, e risate e sghignazzi dei giovani» che hanno negato di avere agito con violenza.
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