Studiare i delfini che vivono nel mare dell’Agrigentino L’idea di una favarese che in Liguria salva le balene

Studiare i cetacei che vivono nel mare antistante la costa agrigentina. Ovvero fare quello che fino a oggi nessuno ha mai realizzato. A pensarci è Jessica Alessi, biologa e ricercatrice originaria di Favara, che da anni collabora con l’Università di Genova in progetti che hanno a cuore la tutela dei mammiferi acquatici. 

Pur vivendo in Liguria, Alessi è rimasta legata alla Sicilia. «Ho fondato un’associazione che si chiama Me.ri.s – racconta a MeridioNews -. Siamo una decina di soci, con la passione del mare. L’obiettivo è quello di dare seguito a un lavoro che abbiamo iniziato già lo scorso anno, con una campagna di citizen science, dove chiedevamo alle persone di segnalarci la presenza di cetacei a largo della provincia di Agrigento. Partendo da quei dati – continua – quest’anno faremo un lavoro più strutturato, per fare luce su una realtà che in quel territorio non è mai stata studiata».

In attesa di saperne di più su chi abita i mari siciliani, la ricercatrice è tra le protagoniste di un progetto riguardante i capodogli del mare a largo della Liguria e la prevenzione degli incidenti con le imbarcazioni. Per riuscire nell’intento, l’equipe di cui fa parte Alessi potrà contare su particolari boe tecnologiche che, captando i suoni inviati dai cetacei, permetteranno di localizzarli. «L’Università di Genova da anni lavora sui cetacei – spiega -. L’idea deriva da un progetto precedente, che si è concluso quest’anno e ha riguardato la protezione del tursiope, un tipo di delfino che vive sotto costa, davanti l’area protetta di Portofino». 

I capodogli sono animali che a largo della Liguria hanno il loro habitat, ed è per questo che possono essere seriamente minacciati dalle navi. «In quest’area esistono diversi canyon sottomarini, dove gli animali vanno a cibarsi delle loro prede, in particolar modo di calamari – commenta Alessi -. Per questo non è difficile avvistarne qualcuno. E considerando che in zona ci sono due porti, come quello di Savona e Vado, si è pensato di trovare un modo per evitare danni ai cetacei». Anche se in una collisione con un’imbarcazione di piccole dimensioni a rischiare non è soltanto l’animale. «Una nave medio-piccola può rimanere danneggiata, anche se parliamo di animali non pericolosi per l’uomo», specifica la studiosa.

L’esigenza di trovare un modo per salvaguardare i capodogli deriva anche dalle statistiche. «Nel 2014 abbiamo fatto uno studio, da cui è emerso che l’8 per cento degli esemplari individuati avevano addosso segni di collisione», spiega Alessi. Ma adesso con le boe tecnologiche gli incidenti potranno diminuire. «Il sistema è in grado di intercettare i suoni emessi dagli animali tracciando i loro spostamenti – spiega -. Ciò ci permette di seguirli sott’acqua. I dati, poi, vengono inviati alla capitaneria di Savona che si occuperà di avvisare le navi». 

Va ricordato, tuttavia, che quando emergono per respirare i capodogli rimangono in silenzio. Tale particolare potrebbe determinare un margine di errore nella localizzazione degli animali, poiché potrebbero spostarsi mentre si trovano in superficie. È qui, però, che entra in gioco un codice di buona condotta a cui i capitani delle imbarcazioni dovranno attenersi. A idearlo è stata la stessa ricercatrice siciliana. «Prevede che le navi non possano avvicinarsi sotto i cento metri dal punto in cui è stato localizzato il capodoglio. Mentre entro i 500 metri potranno transitare a velocità ridotta. Infine – conclude – già al di sotto delle tre miglia bisognerà fare attenzione». 

Il progetto si intitola Whalesafe ed è finanziato per metà dalla comunità europea. Tra i partner ci sono la già citata Capitaneria di Savona, Softeco e l’Acquario di Genova. 

Simone Olivelli

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