Stragi del ‘92, si riparte da Palermo

“L’Italia è un Paese senza verità”, disse una volta lo scrittore Leonardo Sciascia. Considerato quello che è successo nel nostro Paese dalla strage di Portella delle Ginestre fino ai nostri giorni non è facile dargli torto. Però va anche detto che non tutti si arrendono alle finte – se non false – verità di Stato. E tra questi – in prima fila e, soprattutto, in prima linea – ci sono due magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ai quali va il plauso di tutti gli italiani: Nino Di Matteo e Antonio Ingroia.

Questi due magistrati hanno riesumato l’inchiesta sulla Gas spa, che era finita in una binario morto, e hanno riaperto – anzi, aperto – un capitolo che i loro predecessori non avevano molto approfondito. E pazienza se sta venendo fuori che magistrati che indagavano sulla Gas spa avevano partecipato al matrimonio di personaggi della stessa Gas spa sui quali, qualche anno dopo, avrebbero dovuto indagare. Cose che ‘capitano’. Soprattutto a Palermo. Di Matteo e Ingroia hanno inoltre riesumato dalle nebbie italiane l’incredibile vicenda della trattativa tra Stato e mafia che ha portato il nostro Paese, appena un anno dopo le stragi di Falcone, Borsellino e delle loro rispettive scorte, a una riduzione ‘quantitativa’ del 41 bis per i boss mafiosi.

Detto così, in termini crudi, non ci si crede. Perché sembra impossibile che uno Stato di diritto avvii – e a quanto pare concluda – una trattativa con chi il diritto se lo mette sotto i piedi facendo saltare in aria gli uomini delle istituzioni che lottano per affermare lo Stato diritto in un Paese dove, troppo spesso, le ragioni della mafia (leggere anche ‘ragion di Stato’) hanno finito con il prevalere sulle stesse ragioni – questa volta vere e legittime – di Stato.

Domani, stando a quanto scrive oggi ‘Il Fatto quotidiano’, Di Matteo e Ingroia ricominceranno a interrogare i protagonisti di una delle stagioni politiche più oscure della Repubblica italiana (che di pagine oscure, peraltro, ne ha tante: ma questa della trattativa Stato-mafia li batte tutte). A Palermo arriveranno gli ex ministri Nicola Mancino, Vincenzo Scotti, l’ex direttore del Dap, Adalberto Capriotti, l’ex numero due della Polizia di Stato, Luigi Rossi, e altri personaggi dei quali non si conoscono i nomi. Tra questi c’è anche l’x ministro della Giustizia di quegli anni, Giovanni Conso, che ha chiesto di essere ascoltato a Roma per motivi di salute.

Si tratta, a conti fatti, di personaggi di primo piano che, per diciannove anni, come dire?, avevano perso la memoria. Che hanno ritrovato solo da qualche tempo, raccontando cose incredibili che, se fossero state dette in quegli anni, avrebbero, con molta probabilità, cambiato il corso della storia del nostro Paese.

Un personaggio centrale è, senza dubbio, l’ex ministro Conso, che ha sempre affermato di aver adottato la decisione di ridurre il carcere duro ai mafiosi “in totale solitudine”. A quanto pare, invece, della vicenda si occupava una “bella compagnia” di personaggi che ascoltavano le ragioni (dei mafiosi?) e decidevano insieme. “Altro che solitudine!”, scrive Giuseppe Lo Bianco sul ‘Fatto quotidiano’.

Non sappiamo se Di Matteo e Ingroia riusicranno a fare luce su una vicenda così contorta e così inquietante. Ma sappiamo che il fatto che ad occuparsi di questa storia ci siano anche magistrati come loro è già di per sé una garanzia per tutti i cittadini.

Troppe cose, di quegli anni, non sono chiare. Su Falcone ci sono verità che andrebbero approfondite. Sugli ultimi giorni di Borsellino sappiamo poco, anche perché i soliti ‘galantuomini’ (di Stato?) hanno fatto sparire la sua agenda rossa. Non parliamo, poi, del processo per la strage di via D’Amelio – dove hanno perso la vita lo stesso Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta – e dove un pentito ‘teleologico’, manovrato – sembra incredibile! – da ‘pezzi’ di non abbiamo capito bene di quale Stato (ci rifiutiamo di considerare uomini del nostro Stato coloro i quali hanno depistato le indagini: sono, semmai, esponenti di uno Stato criminale e parallelo che, al pari di certe strutture sorte all’indomani del secondo conflitto mondiale, hanno contribuito a rendere l’Italia, almeno in alcuni, delicati settori della vita pubblica, un Paese di ‘frontiera’ a sovranità limitata) ha depistato le indagini. Tra le cose non chiare, ovviamente, ci sono anche le bombe mafiose che nel 1993 funestarono l’Italia seminando morte e paura. Bombe che, forse, sono alla base della trattativa tra Stato e mafia.

C’è un filo che lega queste ed altre vicende dove mafia e Stato si intrecciano in un gioco infinito e perverso. Ed è importante, lo ripetiamo, che a cercare questo filo siano magistrati sottoposti alla sola legge dello Stato.

 

Giulio Ambrosetti

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