«Non possiamo dire che la mafia sia stata sconfitta per sempre, ma certamente non è quella di vent’anni fa». Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, a Palermo in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, sottolinea la metamorfosi di Cosa Nostra. Il capo del Viminale, insieme, al presidente del Senato, Pietro Grasso, ha deposto una corona nel reparto scorte della caserma Lungaro di Palermo, davanti la lapide che ricorda gli agenti morti nell’eccidio. Subito dopo è stato suonato il silenzio militare.
Alfano ha sottolineato i «grandi passi in avanti fatti in questi 20 anni». Soprattutto sul fronte della repressione. «I principali boss del nostro Paese, anche quelli che hanno barbaramente ammazzato i nostri eroi, sono in carcere, i loro beni sono stati sequestrati o confiscati». Certo, Cosa Nostra ha provato «a rinnovarsi», ma «l’azione dei magistrati e delle forze dell’ordine ha impedito la riorganizzazione della cupola». Ma per battere la mafia servono «grandi sfide culturali e normative che consentano di aggredire i patrimoni dei boss e di lasciare i mafiosi in carcere e, se possibile, in povertà».
Il ministro è ritornato anche sulle parole pronunciate dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, dentro l’aula bunker. In particolare, sul passaggio dedicato agli scandali legati al sistema delle scommesse nel mondo del calcio. «C‘è uno scandalo dopo l’altro. Ringrazio la polizia per le ultime operazioni svolte che hanno consentito di svelare quello che spesso si nasconde dietro alcune partite». Eppure, ha puntualizzato il ministro, «non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio». Poi la questione meridionale. «La questione del Sud non è tramontata. Se riparte il Sud riparte l’Italia, altrimenti è difficile che il nostro Paese possa agganciare una crescita robusta e permanente».
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